martedì 29 giugno 2021
La Corte Suprema ha abolito il divieto di uso ricreativo della sostanza. Ora il Parlamento, diviso sulla questione, dovrà elaborare una legge. I colossi della cannabis pronti a sbarcare
Il Messico diventerà il secondo Paese dell'America Latina a legalizzare la marijuana «ricreativa»

Il Messico diventerà il secondo Paese dell'America Latina a legalizzare la marijuana «ricreativa» - Ansa

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La Corte Suprema ha preso in mano il nodo della marijuana cosiddetta “ricreativa”. Vista l’incertezza del Congresso sulla legalizzazione, sono stati i giudici a decidere. Con una maggioranza di otto a tre, il massimo tribunale ha annullato la parte della legge generale di salute pubblica che proibisce l’impiego non medico della sostanza. Quest’ultimo, dunque, è consentito purché sia di tipo personale. Restano vietati, invece, l’importazione, la commercializzazione e la somministrazione. Il Messico dei cento morti al giorno per mano dei narcos è, dunque, il secondo Paese latinoamericano dopo l’Uruguay a liberalizzare la cannabis. Già nel 2019, la Corte aveva dichiarato incostituzionale la bando e aveva dato al Parlamento due anni di tempo – fino allo scorso 30 aprile – per adeguare la normativa. La bozza, elaborata dalla Camera, è rimasta incagliata in Senato. A suscitare critiche e perplessità – anche fra gli attivisti per la “cannabis libera” – il complesso sistema di licenze previsto che avrebbe avvantaggiato le grandi imprese.
Non è un segreto che il business della marijuana messicana faccia gola a tanti dato i prezzi stracciati di terra e manodopora, come dimostra l’impegno per la liberalizzazione del Gruppo promotore dell’industria della cannabis, di cui fanno parte 25 società, nazionali e internazionali. Per il presidente, Erick Ponce, si tratterebbe del mercato più grande del mondo, la nuova frontiera della “febbre verde”. Da qui l’interesse dei colossi come Canopy Growth, Green Organic Dutchman e Medical Marijuana Inc. Quest’ultima ha già aperto una succursale in Messico. Le imprese canadesi puntano ad esportare i loro prodotti nel Paese, mentre quelle degli Usa, dove la vendita all’estero è vietata, pensano al franchising per entrare nel giro d’affari. Una sorta di maquilas della marijuana, dal nome delle fabbriche di assemblaggio che producono nel Paese ma esportano negli States. Per ora, però, le aziende sono in attesa di vedere che direzione prenderà il Congresso a cui torna la palla. Sarà quest’ultimo, nei prossimi mesi, a dover dare attuazione al verdetto della Corte. Il governo di Andrés Manuel López Obrador è favorevole per «togliere risorse ai narcos» e «aiutare i contadini». In realtà, come sostiene gran parte degli esperti, la criminalità organizzata guadagna quasi esclusivamente dall’export negli Usa di cocaina, eroina e droghe sintetiche, oltre che dalla gestione di una serie di business illegali, dalla tratta alle estorsioni. Difficilmente, inoltre, nell’oltre un terzo di nazione nelle mani delle mafie, ai coltivatori-schiavi sarà consentito di entrare nel mercato legale. Come dice un vecchio proverbio locale dei tempi della Colonia, le leggi «si obbediscono non si applicano».
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