Los Angeles messa a ferro e fuoco per le manifestazioni contro le deportazioni di migranti decise dall’Amministrazione Trump - Ansa
La resa dei conti nello sconto sull’immigrazione fra lo Stato della California e Donald Trump, che covava da mesi, rimane violenta. Dopo una terza notte di guerriglia urbana per le strade di Los Angeles, il presidente americano ha difeso la decisione di inviare la Guardia Nazionale nella metropoli e si è spinto fino a suggerire di arrestare il governatore democratico Newsom – che ambisce alla Casa Bianca – che si oppone, sia ai raid anti-immigrati nei posti di lavoro, sia all’intervento dei riservisti. «Questi dittatori la facciano finita e vengano a prendermi», aveva risposto Newsom allo zar delle frontiere dell’Amministrazione repubblicana, Tom Homan, che aveva promesso di far finire in manette tutte le autorità locali che si rifiutassero di collaborare agli arresti e alle deportazioni di immigrati senza documenti. Una minaccia che Trump aveva incoraggiato: «Lo farei», ha dichiarato riferendosi all’arresto del governatore. E prima di sera ordina a 700 marine di recarsi a Los Angeles a supporto della Guardia Nazionale.
Intanto la polizia in tenuta anti sommossa e i 2.000 agenti della Guardia Nazionale inviati dalla Casa Bianca hanno risposto con manganelli, gas lacrimogeni e proiettili di gomma (che hanno colpito anche alcuni giornalisti) alle proteste, che in alcuni casi sono degenerate in vandalismo e saccheggi, con auto bruciate e vetrine infrante. Con scene da guerriglia urbana e saccheggi si sono fronteggiati da un lato gli agenti - anche a cavallo - con lacrimogeni, manganelli, proiettili di gomma, dall'altro la folla in parte mascherata con lanci di pietre, bottiglie, qualche molotov e pure una moto contro un cordone di polizia. «Abbiamo preso un’ottima decisione inviando la Guardia Nazionale ad affrontare le violente rivolte istigate in California. Se non l’avessimo fatto, Los Angeles sarebbe stata rasa al suolo — ha scritto ieri Trump su Truth Social —. L'incompetente governatore Gavin Newsom e la “sindaca” Karen Bass dovrebbero dire: Grazie presidente Trump, sei così meraviglioso, senza di te non saremmo nulla, signore. Invece, scelgono di mentire al popolo dicendo che non c’era bisogno di noi e che queste sono proteste pacifiche».

La polizia di Los Angeles effettua un arresto - ANSA
Trump ha poi assicurato che farà «il necessario per mantenere i nostri cittadini al sicuro, così potremo, insieme, rendere l’America di nuovo grande» e ha ordinato l’arresto di chiunque indossi una mascherina. La polizia ha poi dichiarato l'intero centro di Los Angeles «area di assembramento illegale» e ha ordinato ai dimostranti di tornare a casa, dopo quattro giorni di cortei contro la politica sull'immigrazione del presidente e le retate nelle fabbriche del distretto tessile della città. La maggior parte degli episodi di violenza si è in realtà verificata in pochi isolati, ma ha attirato l'attenzione di tutto il mondo dopo che il presidente Trump ha fatto ricorso ai suoi poteri anti-rivoluzionari e risposto con il pugno di ferro: 150 gli arresti. E la rivolta si è propagata anche a San Francisco– dove sono stati 60 gli arresti – e ad altre città californiane ma anche ad altre metropoli statunitensi coinvolgendo così, potenzialmente, tutto il Paese.
Ancora più profonda è la spaccatura politica.
«Questa è la resa dei conti che la Casa Bianca aspettava» ha scritto la
Cnn. Lasciando intendere che l’amministrazione Trump sta deliberatamente estremizzando la risposta militare sul terreno. «I disordini scatenati dai raid federali sull'immigrazione a Los Angeles hanno fornito un discutibile catalizzatore al presidente Donald Trump per organizzare una dimostrazione di forza militare» ha scritto l’emittente. Trump «sta lanciando un avvertimento alle giurisdizioni democratiche a livello nazionale che si oppongono alle sue misure di espulsione. E non sta semplicemente dimostrando il suo desiderio di militarizzare la repressione dei migranti irregolari, promessa durante la campagna elettorale del 2024 nonostante i vincoli legali. Sta insinuando che userà l'esercito, in particolare la Guardia Nazionale, per contrastare proteste e dissenso – una prospettiva preoccupante in una società democratica».

Gli scontri a Los Angeles - ANSA
Il nodo California
Era inevitabile che la California, e Los Angeles in particolare, diventassero il punto focale dell'attrito sull'applicazione delle leggi sull'immigrazione con l'Amministrazione Trump. Dal 2018, infatti, la California è uno “Stato santuario” che limita la cooperazione locale con le autorità federali per l’arresto e la deportazione degli immigrati. Nel novembre 2024, il Consiglio comunale di Los Angeles ha approvato una misura di protezione ancora più restrittiva, che impedisce al personale della città di collaborare con i controlli federali. I conservatori hanno accusato queste politiche di aver creato un clima di “illegalità“ che ha preparato il terreno per gli scontri di questo fine settimana. I sostenitori delle misure ribattono che la cooperazione locale con le autorità d’immigrazione aumenta la criminalità e i rischi per la sicurezza perché gli immigrati irregolari evitano di interagire con la polizia, le scuole, i tribunali e gli ospedali.
Attualmente negli Usa ci sono più di 600 Stati, contee e città santuario, tra cui Oregon, Washington, Colorado, New York, Atlanta e Washington DC. All'estremo opposto, una dozzina di Stati – tra cui Texas, Florida e Carolina del Nord – hanno approvato leggi che proibiscono alle loro città di adottare politiche di asilo. Il Tennessee ha recentemente trasformato in reato per la mancata collaborazione di qualsiasi funzionario locale con le autorità federali. L'Amministrazione Trump ha accusato le giurisdizioni che adottano misure di asilo di violare la legge federale e ha messo in guardia dalle conseguenze, compresa la negazione di finanziamenti federali. E intanto la battaglia contro i clandestini continua proprio al confine col Messico, dove le truppe Usa hanno effettuato i primi arresti nelle nuove aree militari lungo 418 chilometri di frontiera tra New Mexico e Texas, dichiarate estensioni delle basi Usa dal capo del Pentagono Pete Hegseth.