Il finanziamento all'Ucraina: chi vince e chi perde nella Ue

di Eugenio Fatigante, inviato a Bruxelles
Il bilancio dopo la maratona notturna a Bruxelles. Sconfitta la linea di von der Leyen e Merz, soddisfatti il Belgio e l'Italia
December 19, 2025
Il finanziamento all'Ucraina: chi vince e chi perde nella Ue
Il cancelliere Merz e la presidente della Commissione Ue Von der Leyen
Al termine della maratona notturna all’Europa building, Bruxelles (lato Commissione Europea) e Berlino adottano la stessa linea comunicativa: la vittoria è aver garantito il finanziamento per due anni all’Ucraina martoriata dalla guerra russa e ce l’abbiamo fatta, è il messaggio univoco di Ursula von der Leyen e del suo connazionale e riferimento politico, il cancelliere tedesco Friedrich Merz. E nella sostanza è vero. Dietro i toni uguali dei due, però, si nasconde il rovescio della medaglia dell’ultimo Consiglio Europeo del 2025: Merz e Von der Leyen ne escono come i due grandi sconfitti, anche se parlare di vittorie e sconfitte sa di cattivo gusto in una vicenda simile. Per mesi i due, con Merz che voleva affermare così una sua leadership ideale sull’Unione Europea, hanno ostinatamente portato avanti una linea, quella del ricorso ai 210 miliardi di euro di beni russi (per la maggior parte della banca centrale di Mosca) “congelati” nelle casseforti di tutta Europa, malgrado tutte le complicazioni legali note dall’inizio, a partire dal fatto che il loro utilizzo presuppone una proprietà per la quale serviva una vera confisca, che poteva essere poi dichiarata contraria al diritto internazionale nelle sedi giudiziarie. Merz era arrivato a parlare di «unica opzione». Nella loro impostazione, doveva essere anche un potente strumento di pressione per costringere Mosca al tavolo delle trattative. Ecco, questo obiettivo - non meno secondario – di mandare un forte segnale a Vladimir Putin (che difatti ora esulta) e alla Russia chiamata anch’essa a fare i conti con la sostenibilità del suo sforzo bellico, è venuto meno.
Oltretutto, l’entità del prestito che sarà concesso – 90 miliardi di euro – è insufficiente alle esigenze degli ucraini: dopo che è venuto meno il contributo finanziario dell’amministrazione Usa di Donald Trump, quantificato in circa 10-15 miliardi di dollari a trimestre, l’Unione Europea è chiamata ad accrescere in misura anche maggiore il suo sforzo per venire incontro alle esigenze dell’Ucraina. Per questo i giornali tedeschi non si sono risparmiati nelle critiche, con Die Welt spintosi a parlare di «una giornata nera per l’Europa e per Merz».
Ovviamente Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino, si è affrettato a dirsi «grato a tutti i leader Ue» per «uno sforzo che rafforza davvero la nostra resilienza». Ma è innegabile che giovedì fosse andato a Bruxelles per chiedere ben di più, facendo appunto ricorso direttamente agli asset russi e appellandosi alla sensibilità dei leader. Alla fine, nella fretta di chiudere la partita evitando la figuraccia di chiudere un vertice così delicato con un nulla di fatto, se ne è usciti con una “soluzione-ponte”, in fondo. Forse anche con la segreta speranza (non confessabile) che una svolta fra 1-2 mesi nella complessa trattativa che vede Trump al centro possa rendere superflua buona parte del prestito.
Di positivo c’è, in ogni caso, che per la seconda volta nel giro di 4 anni (la prima fu per il Covid) l’Ue apre a una forma di eurobond, vincendo le forti ritrosie di Berlino: verrà emessa un’obbligazione che varrà come debito comune, per coprire le spese di Kiev. A garantirla sono i margini esistenti nel bilancio pluriennale dell’Unione. Forse, se fosse stata scelta questa strada sin dall’inizio, si sarebbe potuto fare anche di più ricorrendo ai residui non spesi dell’intero Recovery post-Covid o a quelli del fondo Mes, il Meccanismo europeo di stabilità; ma ora il rischio era d’ingarbugliare la vicenda e di dover andare ai tempi supplementari.
Di sicuro vincitore è il Belgio del primo ministro Bart De Weber, da sempre contrario all’uso delle riserve russe e che chiedeva una piena condivisione, «senza limiti», delle garanzie da prestare perché temeva, in caso di condanna in un tribunale internazionale, di essere lasciato quasi da solo a pagare le conseguenze per il fatto che Euroclear, società finanziaria di Bruxelles, gestisce ben 185 di quei 210 miliardi. Alla delusione tedesca fa da contraltare una certa soddisfazione anche di Italia e Francia, Paesi che – parandosi un po’ dietro il diniego del Belgio – hanno remato contro la soluzione degli asset. Parigi anche per le riserve russe detenute nelle banche transalpine, Roma soprattutto perché temeva di dover contribuire quota-parte (all’11% circa) alle garanzie che sarebbero state chieste dai mercati.
La premier Meloni, dopo giorni trascorsi nell’attesa degli eventi su un filo sottile tra il sostegno sempre ribadito a Zelensky e la conclamata voglia di non dispiacere troppo a Trump, il potente alleato mai rinnegato, riesce con il suo attendismo equilibrista nell’impresa di portare a casa forse il massimo possibile. Sul piano diplomatico un successo, si può dire. Un’obbligazione implica comunque il pagamento di interessi e un rimborso finale, dato che Kiev difficilmente risarcirà l’Ue se la Russia (come sicuro) non pagherà le riparazioni di guerra. Il debito comune diverrà un surplus anche sui bilanci nazionali e per questo Meloni per tempo ha avvisato che tali somme non dovranno rientrare nel Patto di stabilità Ue per non pesare sui conti pubblici italiani. Questo dettaglio sembra essere stato riconosciuto, ma occorrerà vigilare.
Ultimo protagonista (e a suo modo vincitore) della vicenda è il trio composto da Viktor Orbán, Andrej Babis e Robert Fico, primi ministri rispettivamente di Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia: loro, nazionalisti in qualche modo più vicini a Putin, hanno dato vita a un colpo di europeismo (non hanno esercitato il veto, facendo approvare il prestito), ricompensato però dall’esenzione su eventuali garanzie finanziarie future. Insomma, non dovranno pagare nulla. E a loro tanto è bastato. Per l’Europa nel suo complesso una lettura bivalente: riesce a superare la prova, ma ne esce un po’ ammaccata. E come dice un diplomatico Ue tirando le somme:

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