giovedì 3 settembre 2009
Dall’inizio dell’anno 1.200 morti e 250mila profughi. L’allarme del coordinatore Onu sulle violenze fra clan: «I combattimenti sono i più gravi degli ultimi anni»: gli scontri coinvolgono le milizie dei clan, ma sono alimentati dal controllo sul petrolio.
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Centocinquanta morti al mese, milleduecento dall’inizio dell’anno a oggi. Perché sarà anche un conflitto «a bassa intensità» quello che brucia in Sud Sudan. Ma il numero delle vittime e la frequenza degli scontri sono tornati a crescere come non succedeva da tempo. Si parla, addirittura, di 250mila sfollati provocati dalle violenze interclaniche. Una situazione che rischia di diventare ancor più tesa con l’avvicinarsi delle elezioni generali dell’aprile 2010, un voto che molto potrebbe cambiare nei destini del Sudan. Si tratterà, infatti, del primo di due appuntamenti con i quali il Paese deciderà il suo futuro, a cinque anni da quell’accordo di pace Nord-Sud che ha posto fine a una guerra ultraventennale costata la vita a 2,5 milioni di persone. Le elezioni, dunque. Ma anche, nel 2011, il referendum con il quale il Sud, sede di un immenso bacino petrolifero, potrebbe decidere per la sua autonomia.Viste in quest’ottica le tensioni degli ultimi messi assumono contorni non solo tribali e clanici, ma anche politici. C’è, insomma, chi potrebbe avere interesse affinché il clima generale di tensione faccia deragliare il processo elettorale. Negli ultimi tempi mai il bilancio delle violenze interclaniche aveva superato la ventina di vittime all’anno. «I numeri di quest’anno sono ben diversi – sottolinea David Gressly, coordinatore nel Sud della Missione Onu in Sudan – E in molti casi gli obiettivi deliberati degli attacchi sono donne e bambini». Le Nazioni Unite, ammette Gressly, sono preoccupate: «Se la violenza continuerà sarà molto difficile organizzare il voto». Ad aprile gli elettori saranno chiamati a scegliere il presidente (quello attuale, Omar Hassan el-Bashir, è al potere da due decenni), i membri del Parlamento, i governatori e i membri delle assemblee statali. Nel Sud, inoltre, i cittadini nomineranno anche il presidente del Sud Sudan e i membri dell’assemblea legislativa.Ma cosa c’entrano gli scontri interclanici con il voto e, più in generale, con la situazione politica del Paese? L’accusa che viene da molti funzionari del Sud Sudan è che almeno una parte delle violenze siano state appositamente provocate da agitatori del governo centrale di Khartum, che starebbe anche armando i civili nel Sud e aumentando le tensioni in vista delle elezioni. Protagonisti degli scontri, verificatisi soprattutto negli Stati di Jongley, Upper Nile e Lakes, sono state le tribù dei Dinka e dei Lou Nuer, gruppi che hanno alle spalle una lunga storia di razzie di bestiame. Ma il numero delle vittime e degli sfollati, ammettono le organizzazioni internazionali che lavorano nella regione, è fin troppo alto per poter ricondurre il tutto al furto di mandrie.C’è, allora, chi fa notare come proprio nello Stato di Jonglei – una regione grande quanto il Bangladesh – si siano verificate le violenze più estese, con 200 persone uccise nel solo mese di agosto. E proprio qui, in queste terre, si nascondono alcuni dei principali giacimenti petroliferi del Sud, uno dei quali, ancora per lo più inesplorato, in mano al gigante francese Total. «Non è ancora chiaro perché ciò stia accadendo – sottolinea ancora il responsabile Onu Gressly – ma sembra che coloro che cercano un guadagno stiano provocando una reazione». Secondo Gressly il governo del Sud Sudan ha fatto poco per disarmare le milizie armate. Così le Nazioni Unite si trovano ora ad affrontare una corsa contro il tempo per rafforzare polizia ed esercito in vista delle elezioni.A luglio la Corte permanente per la mediazione, una commissione internazionale di base all’Aja, ha ridefinito i confini della zona di Abyei, un territorio al confine tra Nord e Sud ricco di petrolio. Le nuove linee di demarcazione assegnano al nord del presidente el-Bashir una frazione della parte settentrionale di Abyei che comprende il prezioso campo petrolifero di Heglig. I misseriya, pastori del nord, potranno pascolare il loro bestiame nell’area di Meriam, a ovest. I Ngok Dinka avranno invece una larga zona meridionale che corrisponde al loro territorio ancestrale, e che nel referendum di Abyei del 2011 potranno integrare nel governo del sud Sudan. Si è trattata di una decisione pragmatica, ma, come afferma l’analista Benedetta de Alessi, «la situazione resta tesa poiché gli introiti petroliferi continueranno a diminuire per i prossimi due anni, mentre l’instabilità del sud Sudan è in crescita in previsione delle elezioni». Quello che molti prevedono è che con la perdita del territorio petrolifero di Heglig, molti sud sudanesi sentiranno ancora più forte il bisogno di una totale indipendenza dal resto del Paese. E, per raggiungere questo obiettivo, gruppi armati e fazioni politiche potrebbero soffiare ancora di più sul fuoco delle rivendicazioni e delle rivalità claniche. Facendo così il paio con analoghe spinte che provengono da Nord. I fantasmi della sanguinosa guerra del passato, se ciò dovesse accadere, potrebbero tornare a turbare gli incubi di un popolo intero.
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