sabato 5 luglio 2025
L’odissea di Sheeza Bibi, 21 anni: dopo aver denunciato la violenza è stata malmenata dalla polizia. Soltanto lo sdegno popolare ha costretto le forze dell’ordine ad arrestare i presunti colpevoli
Una manifestazione di cristiani

Una manifestazione di cristiani - ANSA

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Un altro caso di violenza sessuale scuote la comunità cristiana della provincia pachistana del Punjab dove si concentra la maggioranza dei battezzati del Pakistan. Ancora una volta ad aggravare la situazione è il senso di inferiorità dalle vittime e l’impunità garantita agli aggressori.

L’11 giugno la 21enne Sheeza Bibi è stata stuprata nella sua casa di Shangla Hill e del crimine ha accusato il datore di lavoro del marito e due suoi complici. Allontanato con un pretesto il coniuge, Intikhab, Mohsin l’uomo sarebbe entrato con la forza nell’abitazione della coppia e avrebbe abusato di Sheeza, nonostante la presenza della figlioletta di tre anni.

Se la sua descrizione dei fatti – sostenuta dalla testimonianza del marito – ha sollevato sdegno nel Paese, ha messo a nudo la vulnerabilità della giustizia in Pakistan che, spesso, finisce per ignorare i diritti dei gruppi meno favoriti della popolazione. Non solo: la denuncia della giovane ha richiamato la necessità di proteggere realmente le donne appartenenti alle minoranze religiose che ogni anno sono vittime di un migliaio di casi di violenza sessuale, rapimento e spesso matrimonio "riparatore" dopo la conversione all’islam.

«Quando sono rientrato, mia moglie era scossa e in lacrime. Mi ha detto quello che Mohsin e gli amici le avevano fatto. Successivamente Mohsin è tornato, mi ha consegnato 1.100 rupie (poco più di tre euro) e mi ha detto di andarmene ancora con un pretesto. Chiaramente era tutta una sceneggiata», ha descritto Intikhab in una testimonianza video arrivata all’organizzazione Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement (Claas-UK) impegnata a garantire i dritti legali dei cristiani perseguitati in Pakistan. Una testimonianza consegnate alla polizia dalla coppia quando è andata a denunciare l’abuso nel locale commissariato. Invece di ottenere conforto i due sono stati apostrofati duramente e entrambe maltrattati fisicamente perché approvassero e firmassero una descrizione dei fatti non corrispondente al vero.

Secondo i loro familiari, alla coppia sarebbero state offerte fino a 150mila rupie perché ritirassero la denuncia.

«Nulla di quanto abbiamo detto si ritrova nel documento che serve ad avviare un’indagine», ha confermato Intikhab. Il caso sarebbe stato affossato se non fosse stato per una televisione locale che ha deciso di trasmettere la testimonianza in video. L’ondata di sdegno sollevata ha costretto la polizia a prendere in custodia i presunti colpevoli ma anche difendere se stessa dall’accusa di connivenza con gli aggressori. L’esame medico chiesto da un giudice e finanziato dalla Edge Foundation, associata locale di Claas, ha confermato la violenza subita.

I tre accusati si trovano ora in cella in attesa che sia decisa la loro sorte, tuttavia al sollievo di un sostegno raro da parte dell’opinione pubblica e alla possibilità che sia fatta giustizia, per Sheeza si associa il trauma di quanto successo. «Mentre mi violentavano mia figlia guardava, tenuta ferma da uno degli uomini mentre piangeva disperatamente. Mi auguro che siano puniti perché altre donne non possano subire quello che io ho subito», ha dichiarato la giovane donna nella sua testimonianza.

Da parte loro, i responsabili dei gruppi di supporto legale hanno confermato l’intenzione di cercare una punizione esemplare che serva a interrompere la catena di abusi.

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