venerdì 11 dicembre 2009
COMMENTA E CONDIVIDI
Per il programma antartico italiano è un susseguirsi di aspettative e delusioni. Beneficiava un tempo di 35 milioni di € l’anno, oggi ne ottiene faticosamente 15. Strano Paese il nostro: fra metà e fine ’800 frequentava lo stretto di Magellano più assiduamente di oggi. Nonostante le difficoltà post-unitarie, volle una divisione navale oceanica e concentrò nell’Atlantico sud-occidentale 43 delle 79 unità impegnate oltremare. Bisognerebbe guardare agli altri Grandi. Gli Stati Uniti primeggiano in Antartide per opulenza d’investimenti: 290 milioni di dollari l’anno; i russi vi spediscono il fior fiore della nomenclatura: dal capo del controspionaggio (Fsb) al ministro della Difesa. Mentre gli indiani allestiscono una terza stazione di ricerca, i cinesi s’insediano a 4.093 metri di quota, nella regione fra le più inospitali del Paese. Ne faranno un laboratorio di studi climatici, astronomici e spaziali. Ambiscono a ricostruire per primi il modello climatico di un milione e passa di anni fa: una ricerca dall’enorme impatto internazionale, competitiva e prestigiosa. Nemmeno i micro-Stati resistono al fascino delle muse antartiche. Se Alberto II di Monaco viene dal periplo delle stazioni di ricerca (2009), il Belgio delle turbolenze politiche inneggia a Adrien de Gerlache e inaugura un gioiello ipertecnologico: la base Princesse Elisabeth, dalle emissioni nulle.Noi arranchiamo. Investiamo poco più dell’Argentina, che per ricchezza nazionale ci è inferiore di un terzo e per oneri logistici ha i favori della geografia. È un ritorno al passato, al disinteresse per un Continente ove si fa big science e non vi è asilo per la mediocrità. Studiare in Antartide costa. Occorre movimentare navi, velivoli e ricercatori. Pur non immediate, le ricadute delle esplorazioni idrografiche, geofisiche e astronomiche sono molteplici, tanto economico-scientifiche, quanto ambientali. Basti solo pensare alla cartografia nautica e terrestre, imprescindibile per la sicurezza della navigazione commerciale, o ai modelli previsionali sul clima e il livello dei mari. Se vantiamo nicchie di eccellenza nella robotica superficiale e subacquea, nella sensoristica e nella gestione remota di esperimenti scientifici, lo dobbiamo anche alla ricerca polare, sintesi perfetta d’interessi militari e civili.Alle 25 spedizioni antartiche, le forze armate italiane hanno prestato il 15% dell’organico: dalle guide alpine agli incursori della Marina, dai medici ai nocchieri, senza dimenticare le schiere d’idrografi, meteorologi, operatori radio, controllori di volo, piloti e autisti. In vent’anni e passa, la ricerca antartica ci ha chiesto poco (500 milioni di euro) e dato molto. Il tricolore ha pavesato molteplici campagne oceanografiche, permesso esplorazioni profonde, effettuato carotaggi di ghiacci e rocce, e maturato oltre 3mila pubblicazioni scientifiche, molte delle quali su riviste internazionali. Alcuni arcani son stati svelati, grazie alla memoria sempiterna del Pianeta, impressa nei ghiacci e nei sedimenti oceanici.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: