mercoledì 15 maggio 2024
Il procuratore Khan ha depositato al Consiglio di sicurezza Onu l'ultimo report. Accuse a Tripoli per i "lager" e l'impunità. Plauso alle Ong «l'accuratezza della loro ricerca e documentazione»
Alcuni stralci della relazione invesyigativa consegnata al Consiglio di sicurezza

Alcuni stralci della relazione invesyigativa consegnata al Consiglio di sicurezza

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Mandati di arresto multipli e un maxiprocesso per i crimini commessi in Libia. E’ l'annuncio della procura internazionale dell’Aja che ha consegnato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite l’ultimo rapporto investigativo preannunciando entro la fine del 2025 l’indizione di un procedimento monstre.

I nomi sono ancora tenuti riservati, ma a giudicare dall’inasprimento delle sanzioni recentemente riconfermate all’unanimità dal Consiglio di sicurezza, le indagini stanno riguardando volti noti della cronaca e delle ambigue relazioni tra alcuni Paesi europei e la Libia, a cominciare dall’Italia. Il plauso del procuratore Karim Khan va anche alla magistratura e alle forze di polizia del nostro Paese che stanno contribuendo a fornire riscontri investigativi. Ma vista l''impunità generalizzata e e difficoltà nella cooperazione, il procuratore ha espresso l'intenzione di aprire, come già fatto a Kiev, un ufficio della procura internazionale a Tripoli.

Nell'ultimo periodo di riferimento, da novembre 2023 a maggio 2024, «le testimonianze dei migranti vittime di crimini descrivono costantemente modelli sistematici di violenza e presunti atti di stupro, percosse, torture e trattamenti crudeli durante il loro viaggio». Tra questi, il procuratore segnala i racconti dei bambini prigionieri «nei capannoni e nei centri di detenzione e quelli dei migranti maschi costretti a prendere parte alle ostilità mentre erano sotto il controllo delle milizie». E’ un dettaglio decisivo: nei capannoni sono stipati i migranti trattenuti presso prigioni clandestine, ma i «centri di detenzione» sono quelli governati dalle autorità libiche e mai messi in discussione da Italia e Ue. «Quasi tutte le vittime hanno subito percosse e torture - si legge nel report -, alcune delle quali sono morte per inedia o per le ferite riportate. Altre prove confermano queste testimonianze».

La procura è impegnata in «quattro linee d'indagine chiave sulla situazione libica», ricorda la relazione all’Onu: violenze del 2001, durante la caduta del colonnello Gheddafi; crimini nelle strutture di detenzione; crimini legati alla guerra interna dal 2014 al 2020; crimini contro i migranti. «L'Ufficio - si legge - ha compiuto progressi in queste linee d'indagine prioritarie e continuerà a farlo per garantire un progresso continuo in ciascuna di esse entro la fine del 2025». Il procuratore Khan non lascia spazio a letture alternative: «Come indicato nella tabella di marcia, vi sarà la richiesta di ulteriori mandati d'arresto per le diverse linee d'indagine prioritarie». Alcuni dei personaggi coinvolti nell’inchiesta sono accusati di avere commesso crimini sia durante la guerra civile che nei confronti dei migranti. Di certo, «come minimo nell'ambito della presente tabella di marcia l'Ufficio intende sostenere l'avvio di almeno un processo dinanzi alla Corte in relazione a questa situazione prima della fine del 2025». Secondo lo Statuto di Roma, che regola le procedure del Tribunale internazionale, non può esserci processo senza mandati di cattura ed arresti, che potrebbero avvenire a sorpresa già a partire da quest’anno.

Il capo della Procura penale internazionale Karim Khan al Consiglio di Sicurezza Onu

Il capo della Procura penale internazionale Karim Khan al Consiglio di Sicurezza Onu - Icc-Cpi

Ai crimini contro migranti e richiedenti asilo la relazione dedica un intero capitolo. Confermando che in Libia, contrariamente a quanto sostengono anche le autorità italiane che di recente hanno rinnovato con il voto del Parlamento gli accordi con Tripoli, niente è cambiato. Scrive la procura dell’Aja: «L'impunità per i crimini contro i migranti continua a preoccupare l'Ufficio», che ricorda le risoluzioni Onu del 2022 e 2023, rimaste inascoltate in particolare da Roma, La Valletta e Bruxelles. Il consiglio di sicurezza esprimeva «ulteriore grave preoccupazione per il traffico di migranti e rifugiati e la tratta attraverso la Libia, e per la situazione in cui versano i migranti e i rifugiati», sottoposti fra l’altro a «detenzione arbitraria, maltrattamenti, esposti a violenza sessuale e di genere». Gli Stati che cooperano con la Libia dovrebbero ricordare la “Risoluzione 2698 (2023)” del Consiglio di Sicurezza nella quale è indicato come «migranti, compresi i richiedenti asilo e indipendentemente dal loro status migratorio - riporta ancora Khan nella sua relazione -, dovrebbero essere trattati con umanità e dignità e i loro diritti dovrebbero essere pienamente rispettati». Per questa ragione anche nell’ultimo semestre la procura dell’Aja «ha continuato a far progredire e rafforzare le indagini sui crimini contro i migranti». Lo ha fatto accelerando «le proprie indagini indipendenti e attraverso il partenariato e l'intensificazione della cooperazione» con almeno cinque Paesi, tra cui le forze di polizia e la magistratura italiane.

Il 6 marzo si è tenuta una riunione riservata per far compiere un salto in avanti alle attività investigative, allo scopo di «passare alle fasi giudiziarie preliminari». In altre parole, la direzione presa è quella dell’emissione di mandati d’arresto in campo internazionale. Solo la cattura dei sospettati potrà consentire l’avvio di un processo. La collaborazione degli Stati non è però scontata. Karim Khan non fa nomi, ma scrive che «l'Ufficio ha trasmesso richieste di assistenza a cinque Paesi, richiedendo anche grandi volumi di informazioni». Tuttavia la squadra investigativa «ha ricevuto informazioni e assistenza da tre Paesi».

Da tempo è in corso una campagna per sminuire il lavoro di raccolta delle informazioni messo in campo da organizzazioni non governative e associazioni di vittime che hanno contribuito a diverse inchieste giornalistiche internazionali e altrettante denunce alla Corte penale internazionale. La procura del’Aja non ha abboccato ai tentativi di inquinamento, e oggi «riconosce il loro ruolo e i loro sforzi per ottenere giustizia per le vittime di crimini contro i migranti». Nonché «l'accuratezza della loro ricerca e documentazione».



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