mercoledì 29 aprile 2020
Ucciso un giovane a Tripoli. Il Paese in default chiede cibo. Nel mirino la Banca centrale che ha alterato i prezzi con le rivalutazioni del dollaro. Assaltati gli istituti di credito
Gli scontri a Tripoli

Gli scontri a Tripoli - Ansa

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Il Libano rischia di nuovo di precipitare nel caos. Dopo Tripoli, nel nord del Paese, anche Beirut si è infiammata con nuove proteste contro il carovita e l’intera classe politica. In verità, la tensione sociale non era mai sopita nel Paese mediorientale e la popolazione, ridotta quasi alla fame, si preparava a scendere nuovamente in strada dopo lo stop imposto dall’emergenza coronavirus. Ieri si sono verificati tafferugli nei quartieri vicini al centro della capitale libanese e nella località di Zouk, dieci chilometri più a nord, con atti di vandalismo. A Tripoli, gli scontri sono ripresi tra esercito e manifestanti anti-governativi dopo il funerale del giovane dimostrante di 26 anni, morto ieri in ospedale in seguito alle ferite riportate nella notte da colpi di arma da fuoco esplosi dai militari.

Negli scontri che si sono estesi alla periferia settentrionale della città, l’esercito è intervenuto per disperdere i dimostranti, che hanno lanciato bombe carta e bottiglie incendiarie. Centinaia di manifestanti hanno occupato alcuni incroci stra- dali della città settentrionale lanciando pietre e petardi contro i militari, che hanno risposto con cariche di alleggerimento e gas lacrimogeni. Si parla di decine di feriti tra i dimostranti che provengono, nella loro maggioranza, dai quartieri più disagiati della città. Le proteste si sono svolte nel contesto dell’esasperazione popolare per il carovita e la rapida svalutazione della valuta nazionale.

Una ragazza sfida i militari davanti alla Banca centrale a Beirut

Una ragazza sfida i militari davanti alla Banca centrale a Beirut - Ansa

L’agenzia governativa Nna parla di diversi Bancomat sedi di banche danneggiati sia nella città costiera sia nelle località vicine. Tripoli è da mesi uno degli epicentri delle proteste popolari contro il carovita e la corruzione scoppiate senza precedenti nel Paese il 17 ottobre scorso. La rabbia popolare si è scagliata contro il governatore della Banca centrale e le altre banche, percepite come responsabili del rincaro dei prezzi dopo aver deciso di limitare, da novembre scorso, il prelievo dei dollari statunitensi. La valuta americana è stata fino all’autunno scorso e per più di 20 anni usata in ogni tipo di transazione commerciale alla pari della lira libanese.

Questa nel corso di pochi mesi ha visto crollare il suo valore (da 1.500 a 4.000 lire per un dollaro). La crisi economica ha portato il governo di Hassan Diab ad dichiarare ufficialmente il default finanziario il 7 marzo 2020, pochi giorni prima che l’Organizzazione mondiale della sanità identificasse il coronavirus come una pandemia. Il lockdown imposto per contenere il Covid-19 ha giovato in fondo al governo per “spegnere” la fiamma delle manifestazioni che si susseguivano senza interruzione in tutto il Paese contro una classe politica ritenuta corrotta. Ma ora la gente ha più paura di morire di fame che di contagio, che ha provocato fino a ieri 24 vittime e 717 casi positivi: delle cifre assai contenute se si considera che sui sei milioni abitanti, un terzo è costituito da profughi siriani e palestinesi che vivono in pessime condizioni igienico-sanitarie. L’inflazione galoppante e la chiusura – talvolta definitiva – di aziende già provate dalla crisi economica si ripercuotono, infatti, sulle fasce più vulnerabili della popolazione libanese che vedono i propri salari ridursi continuamente senza che alcun provvedimento venga preso da parte del governo.

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