giovedì 18 settembre 2014
L'Europa dei 28 mette subito i paletti
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Una cosa sembra certa: a Bruxelles stanno tutti facendo gli scongiuri affinché oggi gli scozzesi dicano di no all’indipendenza. Perché un sì getterebbe i vertici dell’Unione Europea in un difficilissimo rompicapo giuridico oltre che in un ancor più complicato contenzioso di natura tutta politica. Perché a ben guardare, non c’è una certezza giuridica su che cosa accadrebbe in rapporto all’Ue a una Scozia diventata indipendente. I fautori del sì sostengono che entro 18 mesi si arriverebbe contemporaneamente alla piena indipendenza da Londra e al riconoscimento come 29° Stato dell’Unione Europea. A Bruxelles la vedono diversamente, sia la Commissione Europea uscente – quella guidata da José Manuel Barroso – sia quella che si insedierà a inizio novembre, guidata da Jean-Claude Juncker, sono convinti di un punto: «Se una parte del territorio di uno Stato membro – ha detto Pia Ahrenkilde, portavoce di Barroso – diviene indipendente, i trattati Ue non si applicheranno più a quel territorio». E dunque, corollario, il nuovo Stato dovrà sottoporsi alla stessa procedura di adesione di qualsiasi Paese terzo voglia aderire all’Unione, in base all’articolo 49 del trattato (anche se in molti scommettono che Edimburgo potrebbe sperare in un corsia preferenziale, visto che le sue normative ovviamente già rispondono a quelle Ue). A Edimburgo non sono convinti, vari giuristi scozzesi rinviano piuttosto all’articolo 48 del trattato Ue, che consente agli Stati già membri dell’Ue di modificare le proprie relazioni con l’Unione.  E un recente rapporto presentato da due professori dell’Università di Edimburgo, Stephen Tierney e Katie Boyle, sostiene che «l’adesione di una Scozia indipendente all’Ue non è davvero in dubbio», con l’unica avvertenza che potrebbero esser necessarie clausole di transizione qualora il nuovo Paese non sia ancora ufficialmente membro dell’Ue il giorno dell’indipendenza da Londra (nel 2016). Bruxelles, lo dicevamo, non condivide. Lo stesso Barroso a febbraio, intervistato dalla Bbc ha riservato una doccia gelata agli indipendentisti. «Sarebbe estremamente difficile, se non del tutto impossibile – avvertiva – ottenere l’approvazione di tutti agli Stati membri». La ragione è presto detta: ogni adesione deve ottenere il via libera di tutti gli Stati membri esistenti, e alcuni Paesi – in primis Spagna e Belgio – potrebbero dire no per non incoraggiare gli indipendentisti di casa propria (catalani e fiamminghi).  I referendum indipendentisti, ha tuonato ieri il premier spagnolo Mariano Rajoy, «sono un siluro alla linea di galleggiamento dell’Ue», e una Scozia indipendente «ci metterebbe anni e anni a entrare nell’Unione. Non faremo sconti».

A questo si aggiunge un altro aspetto: Edimburgo vuole mantenere tutti gli opt-out (a cominciare da quello verso l’euro e da Schengen) strappati a suo tempo da Londra. A Bruxelles, e anche al Parlamento Europeo i due maggiori gruppi (Popolari e Socialisti) sono netti su un punto: negoziati forse, opt-out certamente no. Come qualunque nuovo stato membro aderisca all’Ue, anche la Scozia dovrà accettare l’intero trattato Ue. Euro compreso.

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