martedì 15 febbraio 2011
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Ritorno alla normalità è l’e­mozione d’attraversare in taxi piazza Tahrir, dove ab­biamo assistito per diciotto giorni al furore delle passioni, degli scon­tri e delle speranze di una folla im­mensa. È l’immergersi nel traffico caotico di una megalopoli che ri­prende a vivere a tutto clacson. Oppure uscire a tarda sera lungo il Nilo, dopo la clausura forzata in albergo a motivo del coprifuoco. Sensazioni fuggevoli perché, a di­re il vero, la normalità è ancora lontana. La “rivoluzione dei gio­vani” ha vinto, scatenando l’ine­vitabile emulazione di tutti colo­ro che erano rimasti a guardare e adesso approfittano della libertà ritrovata per far sentire la loro vo­ce.L’inizio dell’era post-Mubarak è segnato dal dilagare di scioperi e proteste. La scena più incredibile va in onda in tarda mattinata sul­la piazza simbolo della rivolta. L’e­sercito è appena riuscito, con mo­di spicci ma non violenti, a smon­tare le tende e ad allontanare gli ultimi irriducibili militanti del­l’opposizione che intendevano ri­manervi ad oltranza, ed ecco che l’intera zona viene occupata da centinaia di agenti di polizia giun­ti in corteo dal vicino ministero degli Interni. Sono qui a chiedere scusa alla popolazione per non a­verla protetta dagli attacchi delle gang criminali dopo il 28 gennaio. «Noi e il popolo siamo una cosa sola!», gridano sventolando le ban­diere nazionali. «Anche noi siamo stati maltrattati dal regime».Si lamentano tutti adesso. Sciope­ro dei mezzi pubblici. Chiuse le banche per protestare contro la corruzione delle alte sfere. Sit-in davanti all’università di al-Azhar, il centro teologico sunnita, e all’o­spedale di al-Hussein dove il per­sonale medico chiede migliori condizioni di lavoro e aumenti di stipendio. Agitazioni sindacali al­la compagnia aerea Egyptair, il cui presidente ha dato ieri le dimis­sioni. E anche gli operatori turi­stici e i cammellieri delle pirami­di di Giza (sì, proprio loro, gli au­tori il 1 febbraio della carica dei dromedari contro i giovani di piaz­za Tahrir) incrociano le braccia ri­vendicando salari più alti.«Così non si può andare avanti». Il monito arriva dai militari che han­no assunto il potere dopo la cadu­ta di Mubarak. Con un comunica­to diffuso dalla Tv statale ieri po­meriggio, il Consiglio supremo delle Forze Armate esprime la sua grande preoccupazione per «gli scioperi e le proteste che stanno danneggiano fortemente il Paese». Questi fatti, dice con aria severa il portavoce militare dalla faccia di mastino, «creano il terreno per a­zioni illegali da parte di persone irresponsabili» che, fa capire chia­ramente, non saranno più tollera­te. «L’esercito chiede di sospende­re ogni manifestazione di protesta fino a quando l’autorità non verrà trasferita ad un governo demo­craticamente eletto». La dura pre­sa di posizione dei generali che si sono auto-nominati garanti della transizione democratica, fa segui­to alla “Dichiarazione costituzio­nale” diffusa domenica dal Consi­glio supremo militare. Si tratta di nove punti coi quali l’esercito an­nuncia la sospensione della Co­stituzione, lo scioglimento del par­lamento e la nascita di una com­missione per gli emendamenti co­stituzionali che verranno sottopo­sti a referendum.L’opposizione è divisa: c’è chi, co­me el-Baradei, chiede libertà di costituire partiti politici fin da su­bito e chi, come il leader del par- tito liberale el-Ghad, Ayman Nour, è in totale sintonia con i militari, i quali si sforzano di dialogare con il “partito dei giovani”. Un gruppo d’attivisti e di blogger che aveva­no dato inizio alla rivolta del 25 gennaio si è incontrato domenica con alti ufficiali dell’esercito, otte­nendo la promessa di libere ele­zioni tra sei mesi.Un gesto impensabile fino a pochi giorni fa, quando comandava Mu­barak. Secondo quanto riferisco­no alcuni giornali egiziani il rais sta molto male, soffre di depres­sione e rifiuta le cure. Del presi­dente- Faraone qui ne parlano tut­ti al passato. Al potere adesso c’è una Sfinge che si chiama esercito. Piazza Tahrir ricolma di folla nei giorni scorsi
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