sabato 21 agosto 2010
Uno è messo alle corde dall'attivismo ci Hamas a Gaza. L'altro è alle prese con la moratoria sugli insediamenti.
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Ci sono volute 17 missioni in Medio Oriente all’emissario della Casa Bianca, George Mitchell, per convincere Israele e Anp a passare dai colloqui indiretti a una fase più incisiva di trattative faccia a faccia. La fine dell’impasse, che andava avanti da 20 mesi, non sarebbe stata possibile se le due parti in causa non si fossero assai indebolite sul piano interno. Da parte loro, i palestinesi soffrono come mai in precedenza la divisione dei Territori controllati tra due autorità di fatto. Le continue offensive e controffensive militari nella Striscia di Gaza da una parte, le azioni di solidarietà internazionali con i ripetuti disperati tentativi di rompere via mare l’embargo contro la città dall’altra, hanno finito per monopolizzare l’attenzione dei media e anche la simpatia di buona parte dell’opinione pubblica araba e internazionale verso Hamas. La Palestina è diventata sinonimo di Gaza, a tutto svantaggio dell’Anp di Abu Mazen. Anziché pacificare gli animi dei fratelli nemici, il ramadan ha accesso una nuova polemica tra il «governo di Ramallah» e il «governo di Gaza» dopo che quest’ultimo ha accusato l’Anp di licenziare gli imam affiliati a Hamas in Cisgiordania e di reprimere le espressioni religiose imponendo, dietro richiesta israeliana, ai muezzin dei villaggi palestinesi vicini alle colonie ebraiche di abbassare il volume degli altoparlanti. L’invito a Washington lancia un’ancora di salvezza anche a Netanyahu. La data del 2 settembre indicata da Obama per la ripresa dei negoziati, prende in considerazione la scadenza del 26 settembre della moratoria di 10 mesi sulle costruzioni negli insediamenti ebraici in Cisgiordania. L’eventuale proroga o fine della moratoria dipenderanno dall’esito dei negoziati e non più dai calcoli politici di tale o talaltro partito, il che risparmierebbe a Israele nuovi fulmini nel momento in cui le sue amicizie fanno difetto. Netanyahu parte nel momento migliore. In vista delle elezioni di midterm, il presidente americano non può che smorzare i toni nei confronti dell’alleato mediorientale. Parte anche sicuro, visto che in campo di negoziati sotto patrocinio Usa vanta già un’esperienza per aver partecipato, nel 1998, ai colloqui di Wye River assieme a Yasser Arafat e Bill Clinton. Allora, a dispetto della firma degli accordi e la loro approvazione da parte della Knesset, Netanyahu è stato battuto da Ehud Barak alle successive elezioni del 1999 perdendo la guida del governo. Sulla sua abilità negoziale non ci sono dubbi. Si narra che ha minacciato di fare le valigie se gli americani non avessero liberato Jonathan Pollard, un ufficiale dei servizi di sicurezza della Marina Usa condannato all’ergastolo per aver trasmesso a Israele informazioni "top secret". Di un’altra data forse nessuno ha tenuto conto. Il 2 settembre cade alla vigilia dell’ultimo venerdì del ramadan. Giorno in cui si celebra – fu un’idea dell’ayatollah Khomeini – la «Giornata di Gerusalemme», caratterizzata da manifestazioni di protesta contro l’occupazione. Cosa possa succedere quel giorno nessuno lo può prevedere. Di sicuro, la ricorrenza sarà sfruttata al massimo da chi non è stato invitato.
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