giovedì 23 maggio 2024
La richiesta d’arresto per i capi di Hamas e per Netanyahu, propone un dilemma per molti degli Stati che aderiscono alla Corte penale dell’Aja: sostenere Israele senza screditare la Cpi. E viceversa.
Netanyahu e Sinwar

Netanyahu e Sinwar - ANSA

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La richiesta d’arresto per i capi di Hamas e per Netanyahu, propone un dilemma per molti degli Stati che aderiscono alla Corte penale dell’Aja: sostenere Israele senza screditare la Cpi. E viceversa.

La Corte internazionale di giustizia (emanata dall’Onu e che decide sulle contese tra gli Stati) deciderà oggi sull’istanza urgente del Sudafrica: ordinare la sospensione dell’offensiva israeliana a Rafah.

Ma la decisione della Corte arriva nella settimana in cui l’altro tribunale internazionale (quello penale, indipendente dall’Onu e senza alcun collegamento funzionale con la Corte di giustizia) deve valutare la richiesta d’arresto per il premier israeliano Netanyahu, il ministro della Difesa Gallant e i capi di Hamas.

È un rompicapo, per due organismi giudiziari slegati tra loro, ma i cui destini stavolta si incrociano. Per la procura della Corte penale internazionale (Cpi) Israele sta commettendo crimini a Gaza. L’eventuale ordine della Corte di giustizia potrebbe perciò rafforzare oppure diluire le accuse della procura. A seconda dei casi, assisteremmo al consolidamento della giustizia sovrastatale, oppure al suo discredito se sulla stessa materia si arrivasse a scelte strabiche.

Ma c’è un problema: se i mandati di cattura venissero convalidati, chi dovrebbe eseguirli? La Palestina, che ha aderito alla Corte penale internazionale, avrebbe l’obbligo di individuare e arrestare i leader di Hamas sul terreno, con i quali vi sono contatti frequenti per i negoziati, e consegnarli all’Aja. Ma l’Autorità nazionale palestinese ne avrebbe la capacità e la convenienza? Quanto a Netanyahu e Gallant, al governo in un Paese che non riconosce la Cpi, non ci sarebbe modo di arrestarli, a meno di recarsi in Paesi membri dell’Aja che dovrebbero fermarli, oppure potrebbero sorvolare (non sono previste sanzioni concrete per chi non ottempera agli obblighi), infliggendo un colpo mortale al Diritto internazionale.

Da quanto trapela, l’ufficio del procuratore Khan aveva segnalato in anticipo gli sviluppi investigativi ad alcune capitali, tra cui Parigi, Londra e Berlino, consentendo ai governi di coordinare per tempo le reazioni. «Questo ci mette in difficoltà per vari motivi», ha dichiarato sotto anonimato alla “Reuters” un funzionario del governo tedesco, che difende strenuamente la scelta di fornire armi a Israele. Il presidente americano Joe Biden ha definito «oltraggiose» le richieste d’arresto per Netanyahu e Gallant, esponendosi però a una contraddizione: gli Usa, che non riconoscono la Corte penale dell’Aja, hanno bloccato la fornitura di armi per Tel Aviv proprio a causa della smodata reazione di Israele a Gaza.

Tutti i 27 Paesi dell’Ue sono membri (e finanziatori) della Corte penale internazionale. Ma anche stavolta sono divisi. La Gran Bretagna, che ha appoggiato la candidatura dello scozzese di origini pachistane Khan a procuratore, dice non ritenere applicabile la giurisdizione su Israele. Distinguo mai posto quando è stato emesso il mandato di cattura per Putin, leader di un Paese che, come Israele, gliUsa, La Russia e la Cina, non aderisce alla Corte penale internazionale. Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha sostenuto che un mandato di cattura potrebbe «alimentare l’antisemitismo». L’omologo irlandese Micheál Martin ha dichiarato che «è fondamentale rispettare l’indipendenza e l’imparzialità della Cpi», mentre il premier ceco Petr Fiala ha definito la richiesta di arresto come «spaventosa e completamente inaccettabile». Meno ambigua la posizione di Parigi. Con una nota il ministero degli Esteri ha ribadito di «sostenere la Corte penale internazionale, la sua indipendenza e la lotta contro l’impunità in tutte le situazioni».

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