giovedì 19 ottobre 2023
Il land grabbing delle multinazionali per coltivazioni o estrazioni in 20 anni ha sottratto oltre un milione di km quadri a contadini e indigeni, inquinando e deforestando. Speranze nella direttiva Ue
Una risaia in Asia sudorientale

Una risaia in Asia sudorientale - Focsiv

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Solo lo scorso anno sono stati oltre 260 mila i chilometri quadrati di territorio acquistati nei paesi del Sud del mondo da multinazionali. Praticamente una superficie grande quasi come quella dell’Italia. È il land grabbing, una pratica predatoria in crescita vertiginosa. Anche - paradossalmente - per soddisfare le crescenti richieste di minerali indispensabili alla transizione ecologica, come il litio per le batterie dei motori elettrici delle automobili, che arriva dal Sud America. Negli ultimi 20 anni complessivamente sono stati sottratti alle comunità locali 1,148 mila km quadrati di terreni: più di due volte la Francia.

L’accaparramento della terra, una nuova declinazione di neocolonialismo che da una quindicina d’anni affligge i paesi in via di sviluppo, sta conoscendo una grande accelerazione. L’allarme arriva dal VI Rapporto I padroni della terra curato dalla Focsiv, la Federazione degli organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana, impegnate nella cooperazione allo sviluppo. Il dossier è stato presentato all’aula Matteotti della Camera, alla presenza tra gli altri della presidente Focsiv Ivana Borsotto e dell’onorevole Bruno Tabacci del Centro democratico. Il dossier è scaricabile gratuitamente dal sito.

«Presupposto del Rapporto - affermano i ricercatori - è la consapevolezza che la terra fertile e l’acqua salubre sono risorse che si stanno esaurendo, in un mercato globale che tutto fagocita con un modello sviluppista e estrattivista». Gli ultimi rilevamenti della banca dati Land Matrix, che raccoglie dati sui contratti di cessione e affitto di grandi estensioni, rivelano dunque che nel 2022 sono stati 26,1 milioni di ettari le terre accaparrate, pari a oltre 260 mila chilometri quadri. La ricerca sottolinea che «la convergenza tra le conseguenze della guerra in Ucraina, con l’uso del cibo come arma impropria, e la transizione ecologica con la nuova corsa alle materie prime critiche, sta provocando un’accelerazione della competizione tra blocchi geopolitici per il controllo e lo sfruttamento della terra». A farne le spese sono le popolazioni locali, espropriate dei mezzi di sostentamento, espulsi da territori, poi pesantemente danneggiati da deforestazioni, inquinamento, estrazioni.

Casi esemplari sono gli accaparramenti nell'Amazzonia brasiliana e nel Gran Chaco, la regione tra Argentina, Bolivia, Brasile e Paraguay. Il Rapporto Focsiv racconta della «spirale di distruzione che lega l'accaparramento di terre alla deforestazione - per l'impianto di monocolture e per l'allevamento - che a loro volta causano emissioni di gas serra che contribuiscono al cambiamento climatico con un'ulteriore peggioramento delle condizioni locali». A questo «si aggiungono gli incendi provocati dai proprietari terrieri per espandere la frontiera agricola, come è accaduto nel Pantanal al confine tra Paraguay e Bolivia», area tra le più ricche al mondo di biodiversità.

Una buona notizia potrebbe arrivare dall’Europa: l’Unione sta lavorando su una nuova direttiva sulla dovuta diligenza (due diligence) per regolare il comportamento delle imprese europee allo scopo di salvaguardare i diritti umani, come quello alla terra, e all’ambiente. Un obiettivo che dal 2021 è al centro della campagna “Impresa 2030. Diamoci una regolata” condotta da una decina di organizzazioni tra cui Focsiv, assieme ad ActionAid Italia, Equo Garantito, Fair, Fondazione Finanza Etica, Human Rights International Corner (HRIC), Mani Tese, Oxfam Italia, Save the Children e WeWorld.

Dove sono le terre accaparrate? Prima tra i continenti è l’Africa col 37,4% del totale, subito dopo l’America Latina col 31,8, poi l'Europa orientale col 30,7, Asia 11,5 e Oceania 3,4. Quali sono i paesi che hanno ceduto più terre? Prima - a sorpresa - la Russia col 26,9%, segue il Perù col 16,2, poi l’11,3 della Repubblica democratica del Congo, 8,7 l'Indonesia, 8,2 il Brasile, 6,8 Gabon, 6 Camerun, circa il 4% Mozambico, Argentina e Liberia. E di dove sono le imprese che accaparrano? Il 13,3% in Svizzera (sede delle più grandi multinazionali e di fondi di investimento), poi 11,1 Canada, 9,8 Usa, 8,9 Cina, 8,4 Giappone, 6,6 Regno Unito, 6,1 Singapore, 5,5 Paesi Bassi, 5,4 Brasile, 4,7 Belgio.

Land Matrix segnala in particolare come la Cina sia attualmente il paese con più interessi distribuiti nel mondo, avendo accordi con 53 paesi per la concessione di terre, seguita dagli Stati Uniti con investimenti in 47 paesi, poi la Gran Bretagna, paese ex coloniale e imperiale, che mantiene accordi con 42 paesi, e il Canada che grazie ad alcune multinazionali del settore estrattivo opera in 41 paesi. Seguono i Paesi Bassi che investono in 33 paesi e la Svizzera in 29.

Le manifestazioni di protesta delle popolazioni indigene e contadine, cacciate dalle loro terre, spesso sono represse con la violenza: «Il rapporto 2023 è dedicato ai difensori e alle difenditrici dei diritti umani e dell'ambiente - è l'incipit della ricerca Focsiv - che hanno perso la vita a causa delle loro battaglie in difesa delle comunità, dei popoli indigeni e della natura. Uccisi per mano di killer di bande armate, di milizie o della polizia locale: 401 persone uccise in 26 paesi e altre 1.500 minacciate, violentate o detenute. A questa già grave situazione si aggiunge la crescente criminalizzazione delle organizzazioni della società civile, in un mondo che diventa sempre più autoritario, ingiusto ed indifferente».


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