sabato 25 marzo 2023
Mali e Burkina Faso le aree più colpite dalla violenza jihadista e a rischio emigrazione. La regione «ci sta chiedendo aiuto a tutto campo, anche militare», afferma Emanuela Del Re, rappresentante Ue
Bandiere russe sventolate dopo il golpe in Burkina Faso

Bandiere russe sventolate dopo il golpe in Burkina Faso - Ansa

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Dalla Mauritania al Niger, passando per Mali e Burkina Faso, l’impegno dell’Unione Europea (Ue) è in fase di «riorganizzazione». mentre l’avanzata del jihad non dà tregua. A causa delle posizioni prese sull’invasione della Russia in Ucraina e del recente sentimento anti-francese espresso in alcuni Paesi della regione, le dinamiche all’interno dei 27 Paesi europei stanno complicando le relazioni con i nuovi leader saheliani impegnati nella lotta al terrorismo. E sottoposti a offerte e promesse sempre più pressanti dai due nuovi “compettitor” continentali: Cina e Russia. Inoltre, secondo diversi funzionari europei e africani, la Francia, ex potenza coloniale di tutti gli Stati del Sahel coinvolti, continua a giocare un ruolo troppo influente a Bruxelles.

«I francesi stanno spingendo l’Ue ad abbandonare il Mali perché loro stessi sono stati cacciati l’anno scorso – afferma sotto anonimato un analista europeo nella capitale maliana, Bamako –. Gli spagnoli invece vogliono restare mentre i tedeschi sembrano molto indecisi sul da farsi».

La Francia, all’interno della missione europea Eucap Sahel in Mali, esercita un grande potere. A gennaio del 2021 il capo della missione è diventato Hervé Flahaut, un generale della polizia francese. Le ditte francesi si sono inoltre aggiudicate oltre 640mila euro in appalti per il funzionamento della Eucap Sahel, tra cui 210mila euro per la Amarante international, società di sicurezza privata, con un ufficio anche in Russia, fondata da ex soldati delle forze speciali francesi.

Sebbene in entrambi i Paesi ci siano stati due colpi di Stato dal 2020, la situazione, per alcuni aspetti, è ancora più complessa in Burkina Faso dove, anche qui, la Francia è stata cacciata. Le violenze, infatti, continuano regolarmente. «Almeno 15 soldati e ausiliari dell'esercito burkinabé sono stati uccisi mercoledì in un attacco nel nord del Paese – hanno confermato fonti della sicurezza locali –. L'attentato è avvenuto nella regione centro-settentrionale dove sono attivi gruppi armati affiliati ad al-Qaeda e allo Stato islamico».

Il giovane capitano dell’esercito Ibrahim Traoré, a capo del governo transitorio, ha fatto appello all’Ue affinché, come è successo in Ucraina, possa assisterlo con l’invio di armi e mezzi militari, alcuni dei quali (di fabbricazione russa e europea) sono già stati spediti. «Il Burkina Faso ci sta chiedendo un aiuto a tutto campo, anche sul piano militare – ha confermato ad Avvenire Emanuela Del Re, rappresentante dell’Ue per il Sahel –. Quest’ultimo aspetto dobbiamo discuterlo con estrema attenzione». Approfittando invece di una situazione relativamente più stabile, il Niger è diventato il rifugio delle missioni occidentali rifiutate da altri Stati della regione.

L’Italia, con decine di militari stanziati da alcuni anni nel Paese e una varietà di iniziative culturali e umanitarie, sembra intenzionata a voler rimpiazzare il ruolo della Francia. Il presidente nigerino, Mohamed Bazoum, ha infatti ottime relazioni con Roma. Gli attacchi terroristici, più sporadici rispetto a Mali e Burkina Faso, hanno tuttavia causato la morte di centinaia di civili e militari negli ultimi due anni.

E un clima di profonda instabilità. «Nonostante la situazione, la nostra fede sta crescendo e le nostre chiese sono piene ogni domenica – hanno dichiarato all’agenzia Fides i catechisti di Makalondi, Bomoanga, Kankani e Torodi, località al confine con il Burkina Faso –. Viviamo con la paura nello stomaco, ma andiamo avanti insieme a Cristo che ci dona ogni giorno la sua parola che ci consola». Dal 2014 l'Ue ha sostenuto il Sahel con 8 miliardi di euro, ma sono molti gli scettici rispetto a un futuro altrettanto collaborativo.




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