sabato 25 novembre 2023
La tregua stava seriamente rischiando di saltare. Il gruppo parlava di «violazioni dell’intesa». Ritardato di almeno 5 ore il secondo scambio di rapiti e detenuti palestinesi
A Gaza City cominciano ad arrivare gli aiuti

A Gaza City cominciano ad arrivare gli aiuti - Reuters

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Alle 19 di sabato, ben oltre l’ora del tramonto implicitamente concordata per il rilascio degli ostaggi, sulle intenzioni di Hamas e la sorte dei civili prigionieri era di nuovo buio fitto. Il movimento fondamentalista avrebbe dovuto consegnare il secondo gruppo di israeliani nell’ambito dell’accordo che prevede la liberazione di 50 persone in 4 giorni. Israele ha subito alzato i toni, minacciando di rimettere mani alle armi in poche ore. Ma a tarda serata Majed al Ansari, portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, che sta mediando l’accordo umanitario, ha annunciato che prima di notte, con oltre 5 ore di ritardo, sarebbero stati rilasciati non 13 , ma 17 ostaggi. Decisiva, a quanto trapela, una telefonata del presidente Usa Biden all’emiro del Qatar.

Alle 22.54 la brigata al-Qassam informa via Telegram di aver consegnato i civili. Poco dopo la Croce rossa conferma, mettendo fine a un’altra giornata ad alto rischio.

Si è temuto il peggio proprio quando Il Cairo, che ha ospitato i negoziati, pronosticava una estensione della tregua. Hamas aveva interrotto le procedure accusando Gerusalemme di avere violato i patti. La risposta è stata la minaccia di un ultimatum: se entro la mezzanotte di ieri non sarebbero stati liberati i previsti 13 ostaggi, la guerra sarebbe ricominciata da dove è stata interrotta. Tensioni che hanno accresciuto l’angoscia tra le famiglie che attendono il ritorno dei propri cari, oltre che nella comunità palestinese, che aspettava la scarcerazione di altri 39 detenuti, secondo i parametri concordati: 3 palestinesi per ogni israeliano. Condizioni confermate anche ieri poiché nella contabilità degli scambi non rientrano i cittadini stranieri, 4 immigrati tailandesi sulla via del rilascio. L’Egitto, che controlla il valico di frontiera di Rafah attraverso il quale sono ripresi a transitare gli aiuti vitali per la Striscia, ha gettato acqua sul fuoco, invitando a pazientare. Secondo l’accordo esistente, un totale di 50 ostaggi deve essere scambiato con 150 prigionieri palestinesi. Ma resterebbero poi nelle mani di Hamas altri 180 civili e una decina di militari israeliani, che però non beneficeranno degli scambi previsti in questa fase.

Qadura Fares, commissario palestinese per i prigionieri, ha affermato che Israele non ha rilasciato i detenuti in base all’anzianità, come ci si aspettava. Il portavoce dell’esercito israeliano, Olivier Rafowicz, ha risposto ribadendo che Gerusalemme «sta rigorosamente rispettando i termini della tregua» e ha affermato che l’esercito «non ha effettuato attacchi o operazioni offensive a Gaza nella giornata di sabato».

Il primo scambio tra ostaggi e detenuti sarebbe dovuto cominciare giovedì, ma i fondamentalisti hanno chiesto e ottenuto un rinvio di un giorno per organizzare le consegne e farlo in modo da non rendere rintracciabili i luoghi della prigionia e le postazioni dei miliziani islamisti. Ieri la nuova mossa di Hamas che all’inizio accusava l’esercito israeliano di avere violato i patti dal momento che ha sparato su alcuni civili che provavano a tornare a Gaza Nord. In serata una nuova versione: Hamas vorrebbe che a Gaza affluissero più aiuti. Una mossa per prendere tempo, e per recuperare consenso. Hamas, infatti, è meno compatta di quel che sembra e nel movimento ci sono contrapposizioni tra le fazioni armate e i loro referenti politici. Mentre nella Striscia comincia a prendere la parola il malcontento finora messo a tacere dalla pressione degli estremisti.

Diverse fonti indipendenti presenti nella Striscia hanno confermato ad Avvenire di avere raccolto i segnali di questo disagio. «La speranza è che la tregua continui e sia permanente, non solo di quattro o cinque giorni. La gente non può pagare il costo di questa guerra», ha detto all’agenzia Reuters Ayman Nofal, in un mercato sulla strada Khan Yunis, nel sud di Gaza da dove transitano secondo gli accordi i convogli della Croce Rossa internazionale a cui vengono affidati gli ostaggi. In direzione opposta 50 camion (340 dall’inizio della tregua) che trasportano cibo, acqua, equipaggiamento per la costruzione di tendopoli e forniture mediche sono stati fatti entrare a Gaza. Dall’inizio della guerra si è trattato del primo consistente carico di aiuti, comunque inferiore ai 500 camion che transitavano ogni giorno prima del 7 ottobre.

Mentre sta per arrivare il terzo giorno di cessate il fuoco e negoziati per un nuovo scambio, da Jenin arrivano le immagini che riaccendono la rabbia nel campo profughi, dove una irruzione dell’esercito israeliano ha fatto due morti e sette feriti gravi.

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