martedì 12 marzo 2024
Le conseguenze del conflitto sulla comunità accademica. Amal Kasry: «Tutelare i ricercatori». Khrystyna Gnatenko: «Resto, e costruisco ponti con chi se n'è andato e con altri colleghi»
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Restare o esiliarsi? Persistere in laboratorio o precipitarsi sul fronte? Dilemmi quotidiani, in Ucraina, anche per tanti ricercatori, spesso protagonisti, prima dell’invasione russa, di un vero boom scientifico nazionale, ad esempio nella fisica nucleare o nell’informatica. Basti pensare che, fra il 2015 e il 2019, le pubblicazioni scientifiche internazionali di autori ucraini avevano conosciuto un’impennata del 45%. «Dato l’alto livello raggiunto in tante università, permettere a questi scienziati di lavorare è pure nell’interesse della comunità internazionale », spiega l’egiziana Amal Kasry, a capo dell’unità per la cooperazione mondiale nella ricerca fondamentale presso l’Unesco, dove ieri si è tenuta un’importante riunione di coordinamento degli Stati membri per rafforzare il sostegno all’Ucraina in questo campo cruciale già per la sopravvivenza delle popolazioni: «Dobbiamo proteggere e sostenere il lavoro degli scienziati che ogni giorno rischiano la vita per raccogliere ad esempio dati ambientali sulla qualità dell’acqua potabile, o sul grado di altre contaminazioni nelle aree bombardate».

Assolutamente prioritario è pure monitorare le apparecchiature in campo nucleare, come sottolinea l’inedito rapporto sull’impatto della guerra sul lavoro scientifico in Ucraina pubblicato proprio ieri dall’agenzia Onu con sede a Parigi, grazie ai dati raccolti dalla Junior Academy of Sciences of Ukraine. All’Istituto per i problemi di sicurezza degli impianti energetici nucleari, presso l’ormai ben nota centrale di Zaporizhzhia, «apparecchiature essenziali per monitorare lo stato dell’industria nucleare sono state rubate o distrutte, compreso un laboratorio radiologico unico per il controllo dei livelli di radiazioni» denuncia il rapporto, tracciando una panoramica dei siti scientifici finiti nel mirino dei russi: 1.443 edifici e laboratori, così come 750 apparecchiature, sono stati danneggiati o distrutti. Tanto che per riparare o ripristinare questo patrimonio occorreranno almeno 1,26 miliardi di dollari, stima l’Unesco. «I ricercatori ucraini della National Academy of Sciences oggi in esilio, ovvero circa l’11% su un totale di oltre 13mila, sono stati ospitati in 53 diversi Paesi, a cominciare da Germania, Polonia, Regno Unito e Francia. In Italia, ne sono giunti 33.

Tutti cercano di mantenere un legame con la patria», aggiunge Amal Kasry illustrando gli assi principali del sostegno internazionale a partire dalle richieste di Kiev: «Cerchiamo di garantire agli scienziati ucraini un accesso da remoto ad apparecchiature situate altrove, non solo in Occidente, e al contempo di fornire piccole apparecchiature quotidiane. Abbiamo previsto pure di sostenere gli spostamenti di certi ricercatori per permettere loro di non rompere le collaborazioni con l’estero». Tanti i dilemmi pure per Khrystyna Gnatenko, che a soli 32 anni si è già fatta un nome nel panorama internazionale della fisica teorica, ricevendo premi anche in Europa occidentale. Ordinaria all’Università di Leopoli, ha scelto di restare in patria: «In simili condizioni, capisci che è estremamente importante dare il meglio. Con i miei studenti, cerco di condividere l’amore per il sapere e la scienza», ci racconta spiegando com’è cambiato il suo modo di lavorare: «Resto aggiornata sulle evoluzioni della ricerca. Ma quando insegno, mi preme trasmettere, come posso, un certo senso di sicurezza non mostrandomi preoccupata. Altrimenti, si resta paralizzati, anche perché so bene che gli studenti hanno in famiglia chi è partito, chi è rimasto ferito, o peggio».

Un altro fronte d’impegno si è aperto: «Mi dedico a fondo anche come volontaria, perché molti miei colleghi combattono sul fronte e cerchiamo di raccogliere denaro e materiale per loro, pensando pure a sostenerli moralmente restando in contatto». Al contempo, la studiosa ci parla dei messaggi di solidarietà ricevuti da colleghi amici dalla Polonia, da università tedesche come Jena, o inglesi come Coventry: «Questi contatti sono una risorsa potente per andare avanti. Concretamente, poi, c’è chi sollecita fondi di ricerca per noi, cercando pure di farci avere borse o assegni scientifici». Al contempo, i ponti sono crollati con i colleghi russi: « Nessuno ci vieta di contattarli, ma diventa impossibile, se ti senti ucraino». Nonostante i drammi quotidiani, la scienziata resta fiduciosa e non percepisce una crisi di motivazione fra i colleghi rimasti: «Direi, anzi, che la motivazione è moltiplicata dall’amore per il nostro Paese. E cogliamo ogni momento prezioso per sostenerci, incontrarci, evitare di restare isolati. Non gettare alle ortiche le nostre ricerche e conservare un buon morale sono altri modi di battersi».

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