lunedì 8 giugno 2015
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Era l’alba a Qaraqosh quando, all’improvviso, le raffiche di mortaio hanno squarciato il silenzio. Lo Stato islamico era arrivato alle porte del villaggio, nel cuore della Piana di Ninive. L’incubo si era avverato. Aida ricorda ogni istante di quel 6 agosto in cui i jihadisti conquistarono gran parte della cittadina. «Attraverso l’istallazione di un megafono, i miliziani hanno intimato a noi cristiani di lasciare il villaggio, altrimenti saremmo stati uccisi. Noi, però, non ce ne siamo andati», ha raccontato la donna alla rivista San Francesco. Aida e le altre famiglie della comunità speravano che la situazione migliorasse. In realtà, di verificava l’opposto. «Ogni giorno peggiorava. Venivamo minacciati in continuazione, volevano che ci convertissimo all’islam, erano sempre armati. Uscivamo di casa solo per cercare del cibo», afferma Aida. Quest’ultima e la sua famiglia sono rimasti per 14 giorni nella Qaraqosh occupata dai jihadisti. Una dopo l’altra, le altre famiglie cristiane partivano, per sfuggire alla cappa di terrore. Aida e i suoi cercavano di resistere. «Il 22 agosto, un autobus si è piazzato davanti alla porta di casa. Ci hanno fatti salire con forza, per portarci nella clinica di Qaraqosh. Ci hanno detto che ci avrebbero fatto delle analisi e offerto cure sanitarie», ha detto. Al ritorno, appena risaliti sul pullman, un miliziano dell’Is ha notato una bimba tra le braccia di Aida: era Cristina, sua figlia. «L’ha presa con la forza e l’ha riportata alla clinica». La donna, disperata, ha cercato di fermarlo. Invano. «L’uomo che ha portato via mia figlia non era iracheno, l’ho capito dall’abbigliamento e dal modo di comportarsi, non mi parlava, faceva solo dei movimenti con gli occhi». Proprio mentre cercava di andare a riprendere la bambina, Aida ha visto uscire dall’ospedale l’“amir”, il leader locale dell’Is. Cristina era alle sue spalle. «L’ho supplicato di riavere mia figlia, ma l’unica risposta che ho avuto è stata: “Sali sull’autobus o ti ammazzo!”. Non ho potuto fare niente». I miliziani hanno trascinato Aida e la famiglia sul veicolo, diretti verso il deserto. Là li hanno abbandonati. «Ci hanno fatti scendere per proseguire a piedi. Mi ricordo che abbiamo dovuto attraversare un fiume abbastanza profondo, avevo paura di annegare e ho chiesto aiuto per passare. Dopo sette ore di strada, sotto il sole rovente, il gruppo è arrivato a Erbil, dove è stato soccorso dai peshmerga. Sono stati questi ultimi a dare ai nuovi arrivati acqua e un riparo dove rifugiarsi. Il cuore e la mente di Aida, però, sono rimasti intrappolati a Qaraqosh. Insieme alla piccola Cristina. Strappata dalle braccia della madre dagli uomini del Califfato nove mesi e 16 giorni fa.
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