mercoledì 28 giugno 2023
Per il Global Peace Index, nel 2008 i governi in lotta erano 51 oggi sono 91. Lo stesso vale per gli uccisi, passati a 238mila solo lo scorso anno. Tigrai, Yemen, Sud Sudan, Siria le aree “calde”
La periferia di Aleppo, in Siria, segnata dai combattimenti

La periferia di Aleppo, in Siria, segnata dai combattimenti - Jessica Pasqualon (Ansa)

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Sono sempre più numerose le guerre che si combattono oggi nel mondo. E pure più logoranti perché “invincibili”. Nessuno perde, nessuno vince. A dirlo sono le statistiche di un thinkt ank australiano, l’Institute for Economics and Peace (Iep) di Sydney, che ogni anno, da quasi vent’anni, monitora lo stato di salute della pace globale e redige una classifica dei Paesi più o meno esposti a tensione armata. Il Global Peace Index del 2022, pubblicato a Londra, vede l’Islanda in testa, tra le nazioni più al riparo dal rischio di un conflitto insieme a Danimarca, Irlanda, Nuova Zelanda e Austria, e, in coda, l’Afghanistan seguito da Yemen, Siria, Sud Sudan e Repubblica democratica del Congo.

Lo studio relativo allo scorso anno è stato condotto su 163 Paesi, rappresentativi del 99,7% della popolazione mondia-le, utilizzando 23 indicatori (qualitativi e quantitativi). Ha misurato, per esempio, l’instabilità politica, le relazioni con i vicini, gli sfollati interni, l’accesso alle armi e il tasso di polizia. I risultati dell’analisi, condensati in un rapporto di 98 pagine, mettono a fuoco una realtà difficile. I governi coinvolti in qualche forma di guerra, ora, sono 91. Nel 2008, quindici anni fa, erano 58. Lo stesso per le vittime che l’anno scorso, secondo i calcoli dell’istituto, sono state 238mila. La stima più alta dal genocidio in Ruanda del 1994. È l’internazionalizzazione del conflitto? La guerra tra Russia e Ucraina ha di certo contribuito ad aggravare lo scenario ma il dossier segnala che la pace perde colpi in modo continuo da quindici anni a questa parte. Nonostante la maggior parte dei Paesi (fatta eccezione per Cina, Stati Uniti e India) stia riducendo il ruolo degli eserciti. I livelli di tensione sono cresciuti in 79 Paesi tra cui Myanmar, Israele e Sudafrica. Aumenta, inevitabile, anche il numero delle persone uccise. In più passaggi il dossier sottolinea che i morti della guerra in Ucraina non sono quanti quelli mietuti in Etiopia (più di 100mila nel conflitto del Tigrai), calore che eclissa il picco registrato durante la guerra siriana.

Lievita anche l’impatto economico della violenza. L’anno scorso, gli scontri armati hanno mandato in fumo, in totale, 17,5 trilioni di dollari, il 13% del Pil globale. A questo proposito, il direttore della ricerca, Thomas Morgan, osserva: «Dati come questo dovrebbero bastare a scoraggiare anche solo l’idea di imbattersi in uno scontro armato. Si tratta di un fardello economico sempre più pesante ». A ciò va aggiunto un altro dettaglio. «Le guerre sono cambiate – spiega – si combattono tra più parti e con tecnologia militare sempre più sofisticata. Per questo sono diventate per lo più impossibili da vincere». Una nota positiva della ricerca riguarda i progressi in sicurezza fatti in Burundi, Oman e Costa d’Avorio. Il passo in avanti più ampio lo ha mosso, per il secondo anno consecutivo, la Libia.

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