mercoledì 30 giugno 2010
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Forse la lontananza, la scarsa informazione sulle sue procedure, la poca attenzione dei media, salvo temi scottanti, portano a sottovalutare la portata delle decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (Cedu). Ma l’impatto dei verdetti nel capoluogo dell’Alsazia non possono essere minimizzati, e sempre meno lo potranno.A livello del Vecchio continente sta avvenendo un riorganizzazione del sistema giudiziario, che ha il suo fulcro proprio nella Corte che il 3 novembre scorso ha condannato lo Stato italiano per l’esposizione dei crocifissi nelle scuole. Il norvegese Thorbjørn Jagland, segretario generale del Consiglio d’Europa (Coe) a cui aderiscono 47 stati (27 sono gli stati membri dell’Unione europea), non ha fatto mistero che la riforma del Coe si concentra soprattutto sulla Corte. Nella sua conferenza stampa a Roma, a metà aprile, ha parlato espressamente della creazione di «un unico spazio giuridico europeo». E del resto Jagland lo stesso giorno ha incontrato il ministro della Giustizia Angelino Alfano.Il punto di forza di questa riorganizzazione giuridica è il fatto che il Trattato di Lisbona della Ue, che ha dato l’ultimo aggiustamento alla Costituzione comunitaria, all’articolo 6 afferma che «l’Unione europea aderisce» alla «Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali» che sta a fondamento della Cedu e che è stata approvata a Roma nel 1950. Adesione del resto prevista dalla riformulazione della Convenzione, varata con l’approvazione del protocollo 14, per renderne più efficaci le procedure e gli adempimenti derivanti dalle sentenze. E di fatto è già in atto una trattativa a Strasburgo tra 14 esperti di cui 7 aderenti alla Ue e 7 non (tra cui nessuno italiano) su come regolare i rapporti tra la Corte di Strasburgo e la Corte di giustizia dell’Unione europea con sede a Lussemburgo.È certo, in ogni modo, che la supervisione spetterà al tribunale insediato nel capoluogo alsaziano. Oggetto di negoziato restano le modalità. In questo progetto, a detta di Jagland, il Coe ha un evidente vantaggio: «È l’unica organizzazione che ha sia il mandato sia gli strumenti necessari per sorvegliare efficacemente ed esaurientemente l’osservanza da parte degli Stati membri degli obblighi collegati al rispetto dei diritti umani, di democrazia e dello Stato di diritto». Del resto il protocollo 14 ha riformulato ampiamente l’articolo 46 della Convenzione sulla «forza vincolante ed esecuzione delle sentenze».Da notare, però, è che pur essendo un organo giuridico in qualche modo di ultima istanza e comunitario, la Cedu si attiva su ricorso del singolo cittadino: sentenze come quelle pronunciate il 3 novembre, dunque, rischiano di costituire una promozione delle "avanguardie" militanti della rivendicazione dei diritti individuali. Del resto da un simile procedura è messa all’angolo la stessa Corte. Infatti a gennaio 2010 erano pendenti ben 100mila procedimenti, dovuti non tanto all’aumento dei Paesi membri, bensì proprio all’esplosione dei ricorsi individuali. Non a caso il 18-19 febbraio scorso si è tenuta ad Interlaken, in Svizzera, una conferenza degli esponenti dei governi degli Stati membri. Pur riaffermando il diritto al ricorso individuale, il comunicato finale «invita» la Corte ad «applicare in modo uniforme e rigoroso i criteri che riguardano l’ammissibilità (dei ricorsi, ndr) e la sua competenza e a tener pienamente conto del proprio ruolo sussidiario nell’interpretazione e nell’applicazione della Convenzione». Sottolinea altresì che «è indispensabile la piena, effettiva e rapida esecuzione delle sentenze della Corte».
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