sabato 16 settembre 2023
La prima fase della riconquista è fallita. Ha prodotto guadagni di appena 200 chilometri quadrati, senza lambire nessun centro strategico. E con l'autunno il fango inghiottirà carri e blindati
L'omaggio a Kiev per le vittime del controverso battaglione Azov

L'omaggio a Kiev per le vittime del controverso battaglione Azov - Ansa

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È sempre un azzardo fare previsioni in guerra. Il campo di battaglia è un rebus, perfino per gli stati maggiori che pianificano le operazioni. Eppure, a tre mesi dall’inizio della controffensiva ucraina ci si deve arrendere all’evidenza: la prima fase della riconquista è fallita. Ha prodotto guadagni di appena 200 chilometri quadrati, senza lambire nessun centro strategico. La linea del fronte si è spostata di pochi metri al giorno, un incedere insufficiente a creare uno slancio.

La vittoria di Rabotino è strategicamente insignificante: è costata sei settimane di perdite immani. I generali ucraini assomigliano sempre più al maresciallo Montgomery nella terza campagna di El Alamein: ritmi lenti e nessuno sfondamento, ma usura e passo di formica. Purtroppo per loro quella strategia è fallace, perché il tempo a disposizione sta finendo. Zelensky non ha che il mese di settembre per imprimere una svolta agli eventi. Dopo sarà troppo tardi, perché l’autunno renderà impossibili le grandi operazioni offensive.

Il fango inghiottirà carri e blindati. Non rimarranno che i missili, gli ordigni volanti, i droni e i colpi di mano dei sabotatori. Ne abbiamo già sentore. Questi giorni i media hanno rincorso i raid sensazionali contro la base crimeana di Sebastopoli e la distruzione di due navi preziose per le dinamiche di guerra russe. Tre giorni fa, un missile Neptune ha “eliminato” uno degli scudi antiaerei che proteggono l’istmo. È il secondo centro nel giro di un mese. Ma le guerre si vincono con gli stivali sul terreno, riconquistando le città. Un compito immane per gli ucraini, perché l’Armata rossa ha ancora in pugno 160.800 chilometri quadrati di loro terre.

La battaglia delle “macchine volanti” non fa che alimentare speranze sterili, anche se stanno arrivando i missili americani da 300 chilometri e gli F-16. Sia i primi, sia i secondi saranno pochi. Incideranno blandamente, offrendo scarse chance di successo. Non riusciranno mai ad emulare gli americani che, nell’Iraq del 2003, fecero piovere una tempesta di fuoco sulle colonne di Saddam Hussein, polverizzandole in un solo giorno con 500 missili e 1.700 raid aerei.

I nuovi innesti congeleranno al più lo status quo, prolungando il conflitto, senza sovvertirne l’ordine. Molti ora ammettono che gli ucraini usciranno esausti dalle battaglie estive. In tre mesi, hanno pianto 35-50mila uomini e dato fondo più dei russi alle riserve. Avranno bisogno di nuova linfa.

Se tutto va bene, torneranno all’offensiva nella primavera del 2024, il tempo di rigenerare le forze, preparare il terreno, riempire gli arsenali e fare scorta di granate. Con un problema all’orizzonte: gli uomini scarseggiano.

Zelensky ha chiesto agli alleati europei di rispedire in Ucraina i connazionali adulti espatriati in questi mesi. Una mossa che sa del disperato, in un momento critico.

L’opinione pubblica americana è stufa della guerra e di elargire aiuti inconcludenti. Se i repubblicani vincessero le presidenziali del 2024, a Kiev non rimarrà che l’Europa. Saremo all’altezza della sfida? Le fabbriche di Rheinmetall, costruende in Ucraina, promettono 400 carri l’anno. Ma sono ancora in itinere e vulnerabili. Quando ultimate, saranno l’obiettivo numero uno dei bombardamenti russi.

Siccome le guerre si fanno in due, l’Armata Rossa non è stata a guardare. Esce logorata dall’estate ma, negli ultimi mesi, ha trasformato l’industria bellica. Racconta il New York Times che Rostec produrrebbe ormai sette volte tante artiglierie degli euroamericani e sarebbe in grado di sfornare centinaia di carri moderni l’anno (T-72B3M, T-80 BVM e T-90M). Per chiunque si parteggi, lo stallo è l’esito più probabile di questa sporca guerra, perché la Russia è coriacea.

Sta già rinforzando il fronte di Zaporizhzhia con riserve di uomini. Difficile prevedere quello che farà in futuro: si sforzerà di ridurre il saliente di Rabotino? Attaccherà per liberare Donetsk dalla morsa nemica? Sposterà gli assi più a nord, verso Svatove? O si accontenterà dei guadagni acquisiti? Una cosa è certa: farà quello che le riesce meglio da sempre, combattere con ostinazione e solidità, senza exploit straordinari. Ecco perché la diplomazia dà segnali di risveglio.


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