giovedì 4 novembre 2021
Aziende e azionisti saranno liberi di dosare passi e priorità ma saranno «obbligati» a farlo in modo «trasparente». La City londinese diventerà «il primo hub finanziario del globo a emissioni zero»
Il Cancelliere dello scacchiere britannico, Rishi Sunak, ha presentato ieri il piano per arrivare in tempi brevi a una finanza britannica ad emissioni zero

Il Cancelliere dello scacchiere britannico, Rishi Sunak, ha presentato ieri il piano per arrivare in tempi brevi a una finanza britannica ad emissioni zero - Reuters

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Vasto e veloce. Il dispiegamento di risorse annunciato ieri alla Conferenza Onu sul clima di Glasgow (Cop26) è talmente ambizioso da apparire poco credibile. L’esito della terza giornata di summit, interamente dedicata agli investimenti necessari a contenere entro 1,5 gradi il riscaldamento globale, è l’annuncio di una manovra a dodici zeri: 130mila miliardi di dollari mobilitati in totale da istituti privati attraverso la neonata «Glasgow Financial Alliance for Net Zero».

Ministri delle Finanze, governatori delle banche centrali e rappresentanti delle sigle più significative della finanza internazionale hanno confermato anche l’impegno da 100 miliardi di dollari all’anno a favore dei Paesi in via di sviluppo. È stato inoltre creato un fondo da 8,5 miliardi di dollari per sostenere la transizione energetica del Sudafrica, il maggior produttore al mondo di energia derivata dal carbone.

Il sontuoso ingresso della finanza privata nella partita sul clima è apparso agli osservatori addirittura esagerato. Ai 90 membri dell’Alleanza finanziaria – banche, fondi e assicurazioni guidata da Mark Carney, ex governatore della Banca d’Inghilterra – viene chiesto di mettere a punto entro i prossimi 12 (al massimo 18) mesi progetti di finanza verde, da aggiornare ogni 5 anni, dedicati anche, ma non esclusivamente, ai mercati emergenti. Tra i dettagli degli accordi finanziari raggiunti ieri vanno segnalate in particolare due iniziative.

La prima, sostenuta da un gruppo di 25 Paesi, consiste nel vincolare gli investimenti alla fornitura di informazioni aggiornate sui rischi legati al cambiamento climatico. Come del resto raccomanderebbe qualsiasi gestori di grandi portafogli. La seconda riguarda invece la creazione, in seno alla fondazione statunitense International Financial Reporting Standards, di un ente internazionale, a cui hanno aderito già 37 cancellerie, che “certifica” gli standard di sostenibilità dei progetti.

Quella che si va delineando è, insomma, una vera e propria governance della finanza verde. Lo chiarisce anche la decisione del Cancelliere dello scacchiere britannico, Rishi Sunak, di creare una sorta di «listino» per le aziende che hanno certificato l’impegno a ridurre le emissioni di combustibili fossili entro il 2050. Aziende e azionisti saranno liberi di dosare passi e priorità, ha precisato, ma saranno «obbligati» a farlo in modo «trasparente» e a rispondere dei risultati a una commissione di esperti. Così, ha sottolineato, la City londinese diventerà «il primo hub finanziario del globo a emissioni zero».

Il presidente di Cop26, Alok Sharma, ha comunicato in pompa magna il piano miliardario presentandolo come il “momentum” della svolta sul clima. L’entusiasmo ostentato in conferenza stampa stride tuttavia con lo scetticismo di quanti sospettano che questa «rivoluzione copernicana» delle piazze finanziarie altro non sia che «greenwashing»: un’operazione che traverse da opportunità di investimento amiche dell’ambiente sempre i soliti affari. Le contraddizioni tra proclami e sostanza dei portafogli sono emerse spesso anche nell’ambito della cosiddetta «finanza etica».

Al riguardo, Sharma, quasi seccato, ha puntualizzato: «Dovremmo essere solo contenti se la risposta dei privati alla chiamata sul clima è così consistente». Gli ha fatto eco anche Patricia Espinosa, la segretaria generale Onu per il clima, secondo cui la questione è molto semplice: «Abbiamo bisogno di investimenti privati».

Quelli pubblici, dunque, nonostante gli slanci in avanti annunciati sino ad oggi, potrebbero non essere abbastanza. Soprattutto quando si parla di aiuti al Sud del mondo. Il Regno Unito ha lanciato ieri una nuova iniziativa da 100 milioni di sterline per sostenere la transizione ecologica di cinque Paesi: Bangladesh, Fiji, Jamaica, Ruanda e Uganda. Altri annunci simili, da interpretare alla luce delle dinamiche di geopolitica, sono attesi entro la fine della kermesse scozzese.

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