mercoledì 7 giugno 2023
Il presidente delle Acli, Emiliano Manfredonia: è un tempo in cui manca la profezia della politica. L'accordo? Alla fine la pace andrà fatta con tutti. Anche con chi oggi ha le mani sporche di sangue
Emiliano Manfredonia, presidente delle Acli

Emiliano Manfredonia, presidente delle Acli - Acli

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«È un tempo in cui manca la profezia della politica». Emiliano Manfredonia, presidente delle Acli, è tra i più convinti sostenitori della mobilitazione per la pace “senza se e senza ma” che da un anno e mezzo prova a smuovere le coscienze in Italia. «La missione del cardinale Zuppi è stata certamente in salita, ma ha rappresentato anche il segnale che la Chiesa ha il coraggio che ad altri manca. A partire dall’ascolto delle popolazioni colpite e dalla preghiera per i morti indifesi, come è successo a Bucha», la cittadina dove si è recato in visita il presidente della Cei.

Quale segnale è arrivato in questi giorni alla comunità internazionale, a suo parere?

Prima di tutto, il coraggio di osare la pace. I cittadini ucraini devono vedere che vogliamo la pace. La Chiesa ha avuto il coraggio di andare in quelle terre martoriate non per portare armi, ma solidarietà. È un gesto, questo sì, profetico. Non importa come si concretizzerà adesso. Certo, rimettere al centro i bambini deportati, vittime indifese di questo conflitto, è già un gran risultato.

Pensare a un tavolo negoziale non rischia di essere un’utopia, visto l’aggravarsi dello scenario militare?

Non possiamo più tornare indietro, ma il primo passo da compiere è dire che non serve altra guerra per fermare la guerra. Ogni bomba che esplode allontana dall’idea della pace, dobbiamo esserne consapevoli. A volte non si sa neppure per che cosa si combatte, ormai.

Aprire un canale di comunicazione con il Cremlino sembra ancora più difficile.

È difficile sapere quello che sta succedendo in Russia, ma di sicuro c’è una parte minoritaria di quell’opinione pubblica che vuole capire e, a suo modo, cerca le ragioni per un dialogo. Ora possiamo dirlo: sbagliammo negli anni ’90 a lasciare sola Mosca durante il periodo della perestrojka. Era quello il momento opportuno per avvicinare l’Oriente all’Occidente, ma nulla è stato fatto. Quanto al presente, tante missioni umanitarie sono andate avanti in questi mesi, in modo sotterraneo, tante carovane della pace ci hanno portato nell’Est Europa. Penso anche alla preghiera che ci unisce con diverse comunità ortodosse che chiedono il cessate il fuoco.

Nei giorni scorsi, insieme a tante altre associazioni, avete chiesto all’Italia di ratificare il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari.

Siamo preoccupati. Continuiamo a riempire i nostri arsenali e non ci rendiamo conto di essere sull’orlo di una guerra mondiale su larga scala. Servono gesti dirompenti in direzione opposta a quella verso cui stiamo invece andando: sottoscrivere un documento del genere sarebbe un atto di rottura importante. Dalla politica, però, non è arrivato alcun segnale.

La sensazione è che la voce del mondo pacifista si sia un po’ affievolita negli ultimi tempi...

Non è così. Nel prossimo fine settimana una nostra rappresentanza sarà a Vienna per un incontro internazionale. Tanti hanno dimenticato troppo in fretta la portata dell’evento di novembre, quando in 100mila manifestammo per la tregua a Roma. Eppure noi continueremo a lavorare per sensibilizzare l’opinione pubblica, invitandola a riflettere sulle conseguenze del conflitto. A chi distrugge le scuole e sparge terrore con gli ordigni, dobbiamo rispondere con l’impegno a ricostruire. Alla fine la pace andrà fatta con tutti. Anche con chi oggi ha le mani sporche di sangue.

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