venerdì 17 novembre 2023
Il sociologo francese Michel Wieviorka: «Nuovi ceppi del fenomeno si stanno saldando a vecchi rigurgiti. E si aggiungono forme legate alle teorie del complotto. Mi colpisce però l’indifferenza»
Una manifestazione contro l'antisemitismo a Parigi

Una manifestazione contro l'antisemitismo a Parigi - Ansa

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«L’antisemitismo europeo è variegato e in parte mutante. Non conosciamo ancora bene gli autori degli ultimi atti antisemiti e occorre restare prudenti nelle analisi». A dirlo è il sociologo francese Michel Wieviorka, che all’antisemitismo ha dedicato molti saggi. Già alla guida dell’Associazione internazionale di sociologia, ha appena pubblicato “La dernière histoire juive” (Denoël), che affronta il tema della popolarità dell’humour ebraico come spia di evoluzioni profonde, in Francia e negli Usa: «Anche attraverso quest’aspetto apparentemente leggero, è possibile cogliere certe svolte storiche recenti di fondo nella condizione ebraica».

In tutta Europa, si registrano picchi di episodi antisemiti: minacce, aggressioni, stelle di David incise sulle case. C’è uno slittamento in corso?

Le nostre società conoscevano già segnali costanti d’antisemitismo divenuti molto visibili dalla fine degli anni Novanta. Ma oggi, in Francia e in Europa, osserviamo delle ricadute della crisi in Medio Oriente. Ciò tocca diverse componenti della società. Una forma recente d’antisemitismo riguarda delle persone con radici nell’immigrazione. Ciò è divenuto parossistico con certi attentati jihadisti a sfondo antisemita, come la strage terroristica alla scuola ebraica Ozar Hatorah di Tolosa, nel 2012, e quella al supermercato ebraico Hypercacher di Parigi, nel 2015. In questi casi, entrano in gioco forme d’identificazione o alla causa palestinese, o a una certa visione dell’islam di tipo aggressivo. Ma vi sono altri ceppi.

Quali?

Un altro volto dell’antisemitismo, più politico, riguarda la sinistra radicale. Si tratta di persone contrarie all’esistenza dello Stato d’Israele e convinte che gli ebrei in Europa seguano ordini giunti da Israele. Questo antisemitismo, più implicito che esplicito, nasce da un antisionismo molto ideologico, esprimendo comunque un’ostilità. Storicamente, si riallaccia a un vecchio antisemitismo di sinistra di stampo anticapitalistico e antireligioso. In Francia, lo si nota nel partito “La Francia insubordinata”. Simmetricamente, resta dell’antisemitismo pure nell’estrema destra e non è una novità.

Ci sono rigurgiti d’altra natura?

Sì, quelli legati alle teorie del complotto. In questi casi, si attribuiscono agli ebrei le peggiori disgrazie del mondo attuale. Inoltre, si denuncia un supposto favoritismo verso gli ebrei nel sistema mediatico, o in termini di libertà d’espressione. In Francia, lo si è visto con il comico Dieudonné, sanzionato per le sue battute sulle camere a gas. Ciò ha spinto alcuni a chiedersi perché, al contempo, il periodico satirico Charlie Hebdo può invece irridere la religione musulmana.

Tendenze che traversano l’Europa?

Sì. In Germania, c’è un antisemitismo che può talora mescolarsi con il razzismo verso gli immigrati. Nel Regno Unito, invece, si vive una relazione diversa verso Gaza, dato che l’immigrazione proviene spesso da Paesi più lontani. Certo, ogni Paese europeo ha delle specificità. Ma l’antisemitismo è transnazionale ad esempio nel fatto di essere ormai sganciato dalla dimensione religiosa. Personalmente, poi, sono molto colpito dall’indifferenza che tende a crescere verso la questione ebraica.

Che tipo d’indifferenza?

I drammi storici ebraici e in generale il tema della condizione ebraica fanno oggi meno riflettere. Come se per una parte delle nostre società si potesse archiviarli. Ma questo viene vissuto molto male dalla diaspora ebraica, che si sente di nuovo vulnerabile, minacciata, isolata, incompresa. Accanto all’antisemitismo, c’è questo complemento doloroso d’indifferenza.

In queste settimane, sfilano dei cortei contro l’antisemitismo e quelli per il popolo palestinese. Si rischia una pericolosa “concorrenza”?

A livello personale, c’è chi accorda più attenzione alla sorte dei palestinesi, o invece alla questione ebraica. Ma per tutti, l’essenziale dovrebbe essere non smarrire mai il cammino del dialogo. Da settimane, constatiamo l’impossibilità d’avanzare, ma non sono pessimista. Perché in Europa, come altrove, non mancano le voci che invitano a ricercare la pace.

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