sabato 13 aprile 2024
La guerra nei cieli tra Teheran e Tel Aviv rappresenta l'ingresso formale dell'«asse sciita» nel conflitto, ma pure una sua internazionalizzazione con il rischio di ritorsioni terroristiche
Macerie a Gaza dopo sei mesi di guerra

Macerie a Gaza dopo sei mesi di guerra - Ansa

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Cosa determinerà ciò che avvenuto nei cieli di Israele, e quale sarà la risposta all'attacco dell'Iran? Se il Medio Oriente è fatto di cerchi concentrici rispetto al conflitto arabo-israeliano, è chiaro che l’”onda d’urto” che percorre l’asse sciita sarà lunga e con pesanti ripercussioni. La “rappresaglia” per l’omicidio mirato il 2 aprile a Damasco del generale dei pasdaran Mohammad Reza Zahedi, rappresenta un evidente salto di qualità e una internazionalizzazione del conflitto. Ma non solo.

Teheran, dopo aver ponderato per dieci giorni la risposta, ha deciso di non lasciare più solo alle milizie Houthi il compito di contrastare con una guerra economica le rotte commerciali del Mar Rosso. Ora la “guerra nei cieli” tra Teheran e Tel Aviv rappresenta un ingresso formale dell’asse sciita nel conflitto ma pure la sua internazionalizzazione. Damasco, il luogo dell’omicidio mirato, è la capitale di uno Stato satellite di Teheran, ma anche e soprattutto di Mosca. A nessuno deve sfuggire come fu il sostegno militare di Mosca nel settembre del 2015 a tenere in sella il regime baathista di Bashar el-Assad messo alle corde dalla “primavera” del 2011 e dall’insediamento del Califfato islamico con “capitale” Raqqa. Dunque, quello che si sta prospettando è un salto di livello in una “proxi-war” globale. Se a colpire adesso sarà Teheran, non sono mancati in passato strateghi e istruttori russi sul campo. Lo spauracchio della bomba atomica – complice la fuoriuscita degli Usa dall’accordo sul nucleare nel maggio 2018 (primo atto dell’Amministrazione Trump) – fa parte della politica di reciproca deterrenza, ma è l’avvitarsi del conflitto nelle sabbie mobili degli Stati falliti che farà molto facilmente di Siria e Libano un nuovo “pantano” mediorientale.

Se nei cieli contraerea e scudi missilistici possono tenere al riparo le grandi città, sono le scorrerie delle milizie sul terreno che potrebbero avere ricadute fatali su società come quella siriana e quella libanese da anni, se non decenni, già sull’orlo del collasso. La Siria, alleato fondamentale di Teheran, diventerebbe sempre più un “feudo iraniano” dove basi e milizie si addestrano, le armi si sperimentano prima di entrare in scena sui due “teatri di guerra” principali: Israele e Ucraina.

Un dietro le quinte della «Terza guerra mondiale a pezzi» che nel Libano, già prostrato dalla più grave crisi economica del secolo, finirebbe per travolgere le fragili istituzioni del Paese dei cedri sempre più permeabile agli interessi regionali. Pochi giorni fa la rabbia popolare per l’uccisione a Byblos di Pascal Sleiman, politico maronita coordinatore locale del partito Forze libanesi di Samie Geagea, si è subito tramutata in una “caccia al siriano” con diverse ronde contro milizie sciite che vagano attraverso porosi confini. Questo mentre Hezbollah, espressione politica e militare di Teheran e radicato nel Sud del Libano, sinora si è mantenuto in una postura aggressiva verso Israele, ma con un basso profilo operativo. Il via libera ai missili potrebbe essere anche il via libera a una esplicita spartizione territoriale della ex Svizzera del Medio Oriente in aree di interesse. Così anche le monarchie del Golfo, da sempre sostenitrici storiche dei partiti sunniti in Libano, avrebbero la loro zona di frizione diretta in una guerra a basa intensità, ma ormai regionale. E la Galilea, nonostante il cuscinetto delle forze internazionali Onu a guida italiana, diventerebbe un secondo fronte diretto con Israele. Una “libanizzazione” di tutto il Medio Oriente che potrebbe armare poi ritorsioni terroristiche nelle diverse capitali dei “nemici”. Un tutto conto tutti con i maroniti, minoranza cristiana senza quasi alleati e protettori, sempre più soli e indifesi.

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