venerdì 20 ottobre 2017
Il referendum è stato l'ultimo atto di un contenzioso storico fra il governo regionale di Erbil e quello di Baghdad, di un popolo da sempre senza Stato
Peshmerga curdi in Iraq (Reuters)

Peshmerga curdi in Iraq (Reuters)

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Circa 100mila curdi sono fuggiti verso il Kurdistan iracheno in questa settimana dai territori contesi con il governo centrale di Baghdad per timore di ritorsioni dopo che le forze federali e le milizie sciite a loro alleate hanno ripreso il controllo di aree contese già occupate dai combattenti curdi peshmerga. Preoccupazioni fondate: a Tuz (vedi cartina qui di seguito) 150 case appartenenti a famiglie curde sono state incendiate.

Perché l'indipendenza del Kurdistan resterà un sogno

I curdi iracheni che hanno chiesto l'indipendenza dopo il referendum plebiscitario del 25 settembre - nelle tre province autonome di Erbil (a Arbil), Dohuk e Sulaymaniyah e nelle zone contese a Baghdad (5,3 milioni di elettori registrati) i Sì sono stati il 92,7% con una affluenza pari al 72,6% - hanno così ridato vigore e attualità alle antiche pretese di questo popolo ad avere uno Stato autonomo.

La reazione di Baghdad, che si è rifiutata di riconoscere qualsiasi legittimità a una consultazione che nelle intenzioni del presidente del Kurdistan iracheno Masud Barzani, aveva un valore solo consultivo, è stata la riappropriazione militare, con il contributo delle milizie sciite del Risveglio popolare, di tutti i territori che i curdi avevano occupato a partire dal giugno del 2014 quando le milizie del Daesh avevano occupato Mosul e buona parte della provincia di Ninive.

Che cos'è il Kurdistan iracheno (dato 2005)

Il Kurdistan iracheno, con un suo parlamento e un governo regionale, gode di una forte autonomia sin dal 1991 quando l'operazione Desert Storm a guida Usa impose due no-fly zone agli estremi settentrionali e meridionali del Paese. Se quella a Sud non salvò i ribelli sciiti dalla repressione di Saddam Hussein, quella a nord servì invece a consolidare la grande rivolta curda e ad avviare di fatto la creazione di un embrione di Stato autonomo.

L'attuale forma di indipendenza, dopo la riconciliazione nel 2002 fra i due partiti storici dei curdi iracheni - il Partito democratico del Kurdistan (PdK) e l'Unione patriottica del Kurdistan (Upk) - risale alla Costituzione irachena del 2005, approvata dopo il crollo del regime baathista di Saddam Hussein risultato della seconda guerra del Golfo (2003).

Nel nuovo Iraq federale è stato riconosciuta la regione autonoma del Kurdistan in base a precise garanzie territoriali (le tre province autonome) ed economiche sul diritto allo sfruttamento del petrolio (poi mai esattamente regolato) e ad avere un proprio esercito.

Chi sono i combattenti peshmerga supportati (anche) dagli Usa

Con la conquista di Mosul il 9 giugno del 2014 da parte delle milizie del Daesh e la rotta dell'esercito di Baghdad che abbandonò la città in mano ai terroristi, i peshmerga curdi sono stato l'unico forza sul terreno in grado di opporsi all'avanzata del Califfato islamico, in grado di controllare nel 2014 pure buona parte delle province di Ninive e di Anbar.

In questa azione di contrasto, avvenuta con il sostegno logistico ed economico degli Stati Uniti e di molti Paesi europei (fra cui l'Italia), che hanno fornito armi e istruttori all'esercito curdo, il Kurdistan ha oltrepassato i confini amministrativi delle tre province autonome e occupato pure Kirkuk, il secondo centro petrolifero iracheno, al centro di una annosa contesa fra curdi e Iracheni.

In particolare il 6 agosto del 2014 le linee difensive curde si ritirarono dai villaggi cristiani nella Piana di Ninive, dove si erano rifugiati gran parte dei cristiani fuggiti da Mosul due mesi prima. Questo spostamento, che provocò il definitivo esodo della minoranza dalla culla del cristianesimo iracheno, è stato giustificato dai vertici militari curdi con la necessità di rinforzare la difesa di Kirkuk.

Perché l'indipendenza curda è «impossibile»

Il premier iracheno Haider Abadi ha sempre definito illegittimo il referendum del 25 settembre, rifiutando di riconoscere il risultato e quindi di aprire qualsiasi negoziato sullo status e sull'autonomia della regione, come invece annunciato dal presidente curdo Barzani.

La reazione del governo di Baghdad al voto curdo è stata la chiusura dello spazio aereo curdo e delle frontiere con la Turchia, con la Siria e con l'Iraq. Dopo tre settimane di stallo, con una avanzata militare dell'esercito, Baghdad è ritornata in possesso di tutti i territori contesi che il governo regionale di Erbil di fatto occupava dal 2014.

In questa cartina si vedono le aree sotto controllo curdo (tratteggiate in rosso) fino a pochi giorni fa, prima cioè della controffensiva del governo di Baghdad

Le ambizioni dei curdi

Una normalizzazione dei confini che non tiene conto delle ambizioni di Erbil accresciute davanti alla comunità internazionale dall'importante sforzo sostenuto sia nel fermare l'avanzata del Daesh, sia nella controffensiva sul fronte Nord per la riconquista di Mosul avviata il 17 ottobre 2016.

Una controffensiva costata molti uomini e risorse ai curdi iracheni che, in base a questo sforzo, hanno pensato di poter andare a riscuotere le proprie rivendicazioni storiche. Il rischio di innescare una reazione a catena anche fra i curdi siriani, turchi e iraniani e i timori per l'unità territoriale dello stesso Iraq e di tutta la regione hanno però lasciato nell'isolamento politico il governo regionale di Erbil. Nei giorni prima del voto, oltre ai severi moniti di Baghdad e Ankara, si ricorda solo un coro unanime di inviti a desistere dal progetto indipendentista.

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