mercoledì 27 febbraio 2019
Al centro del summit, quasi più del nucleare, l’«economia socialista di mercato». I capi negoziatori «barricati» in hotel per limare le divergenze
Il presidente Usa Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un nel loro incontro ad Hanoi, in Vietnam (Ansa)

Il presidente Usa Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un nel loro incontro ad Hanoi, in Vietnam (Ansa)

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Il secondo summit tra il presidente Usa Donald Trump e il leader supremo nordcoreano Kim Jong-un "sarà un successo": è la previsione espressa stamani dallo stesso Trump nei primi commenti subito dopo il loro incontro al Metropole hotel di Hanoi. Trump ha ripetuto che la Corea del Nord "ha un potenziale economico senza limiti" e di "essere impaziente di vederlo" e rilevando di considerare un "onore essere con Kim".

Da parte sua Kim Jong un, dopo la stretta di mano con Trump, ha dichiarato di aspettarsi "grandi risultati" dal secondo summit in corso. "Sono sicuro che ci saranno grandi risultati questa volta, che saranno accolti da tutti", ha affermato Kim. "Farò del mio meglio per far sì che ciò accada". Secondo il leader nordcoreano, l’organizzazione del summit è stata una "decisione coraggiosa" di Trump: i due Paesi "hanno superato la sfiducia" maturata dopo il primo vertice dei mesi scorsi. Per Trump il progresso "più grande" nelle relazioni Usa-Corea del Nord è stata la "nostra relazione". Il presidente Usa si è spinto anche oltre definendo il rapporto con Kim come "una relazione speciale".

L'attesa della vigilia

La storia si fa anche a furia di dispetti, veri o presunti malintesi, tentativi di sviare l’interesse dei media. E così da una settimana, qui ad Hanoi, l’attenzione finisce per concentrarsi sull’annunciato tète a tète delle due first lady, Ri Sol Ju e Melanie – poi saltato (pare per impegni mondani di Melanie, peraltro noti da mesi) –, sulle scaramucce tra le due delegazioni, a caccia della migliore sistemazione (pare l’abbia spuntata Kim, che alloggia presso il modernissimo hotel Milie, in pieno centro, mentre Trump dovrà accontentarsi del più vecchio e periferico Marriott) –, o sul luogo dove avverranno gli incontri ufficiali: il primo questa sera, un secondo domani, fino a venerdì, quando si tireranno le somme e si capirà se è davvero successo qualcosa. Hanoi da giorni è blindata. E “occupata” da un esercito di 3.500 giornalisti, 1.000 in più che a Singapore lo scorso giugno, per il precedente vertice. Kim è arrivato ieri dopo un viaggio di due giorni e mezzo in treno. Trump è atterrato con l’Air Force One.

Secondo l’agenzia sudcoreana Yonhap, il faccia a faccia dovrebbe concretizzarsi al Sofitel Legend Metropole Hotel di Hanoi. Proprio in una stanza del Metropole sono rinchiusi, da tre giorni, due signori sconosciuti ai più che – ci dicono – «stanno scrivendo la storia». Si tratta dei due capi delegazione: Kim Hyok Chol, diplomatico di lungo corso, ex ambasciatore nordcoreano in Spagna e abile negoziatore, e Stephen Biagun, ex dirigente della Ford, amico personale del presidente Trump, che l’ha preferito ai diplomatici di carriera. Scelte azzeccate da entrambi i leader, parrebbe, se è vero che venerdì verrà solennemente annunciata la fine della guerra. La guerra di Corea. “Sospesa” a suo tempo da un armistizio che molti vorrebbero eterno, peraltro denunciato alcuni fa dalla Corea del Nord. Forse è per questo, per dare più tempo ai loro negoziatori, che Trump e Kim si incontreranno solo stasera, per una cena formale, passando la giornata di oggi chi ad incontrare le autorità vietnamite (Trump), chi (Kim) a visitare realtà industriali di successo come la Vinfast, neonata industria automobilistica che entro l’estate lancerà sul mercato la prima vettura, un Suv, prodotta interamente in Vietnam. E disegnata da Pininfarina. Del resto è proprio il Vietnam, con la sua politica del domoi (rinnovamento), lanciata nel lontano 1986, che potrebbe rappresentare un modello di sviluppo per l’auspicata apertura del regime a un’“economia socialista di mercato”.

Più che una concreta road map sulla denuclearizzazione della penisola, concetto sul quale le rispettive posizioni/ interpretazioni divergono ancora profondamente (gli Usa intendono l’abbandono verificabile e irreversibile, del nucleare da parte di Pyong Yang, mentre i nordcoreani chiedono che la denuclearizzazione venga estesa all’intera penisola coreana, incluse le acque dove le portaerei americane transitano regolarmente, cariche di ordigni nucleari) o impegni concreti sulla riduzione/eliminazione progressiva delle sanzioni, pare sia questa la vera “sorpresa” che questo secondo vertice tra due leader che fino ad alcuni mesi fa si insultavano minacciando di scatenare l’apocalisse nucleare ci stia preparando.

Un annuncio che farebbe felici tutti, primo fra tutto il popolo coreano. La nazione continua a subire una divisione ingiusta e dolorosa, che preoccupa non poco le altre potenze regionali, dal Giappone alla Russia e forse perfino la Cina, sostenitori, anche se per diversi e talvolta divergenti motivi, dell’attuale status quo, e ai quali una Corea che marci finalmente verso la riunificazione non può che incutere timore. Vedremo nelle prossime ore quanto queste preoccupazioni – e queste speranze – siano fondate. Per ora, tocca accontentarsi delle “simmetrie” di Trump: «Con una completa denuclearizzazione, la Corea del Nord diventerà una potenza economica. Senza, è destinata a rimanere più o meno la stessa», ha twittato ieri.

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