martedì 11 settembre 2018
Si lavora alla data: sicuramente prima del voto di midterm di novembre perché, affermano in molti, il presidente vuole sfruttare il summit ad uso elettorale. L'annuncio dopo la lettera del dittatore
Kim Jong-un e Doinald Trump a Singapore il 12 giugno scorso (Ansa)

Kim Jong-un e Doinald Trump a Singapore il 12 giugno scorso (Ansa)

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L’occasione era ghiottissima e Kim Jong-un il “prestigiatore” non se l’è lasciata sfuggire. Ottenedo l’accelerazione sperata: quella che potrebbe portare – in tempi brevi – al nuovo faccia a faccia con Donald Trump. Pyongyang, 70esimo anniversario della fondazione del Paese. Occhi, telecamere e cancellerie di mezzo mondo, tutte puntate sulla celebrazione. L’ultimo erede della dinastia, che governa la Corea del Nord, ha dimostrato domenica di essere un abile (e accorto) giocatore. Via i missili intercontinentali, (quelli che avrebbero irritato gli Usa), “star” indiscusse delle precedenti parate. Via gli “stendardi” atomici. Grande enfasi, invece, sul riscatto economico, come nuova sfida del regime.

E infine, l’ultimo colpo scenografico: la presenza, sul palco delle autorità, del numero tre nella nomenclatura cinese, Li Zhanshu. Il messaggio, confezionato dall’abile regia di Kim, era trasparente. Ed è andato a buon fine. Perché mentre, nella capitale sfilavano i militari, la missiva – «calorosa e positiva», come l’ha definita la portavoce della Casa Bianca, Sarah Sanders – scritta dal giovane leader volava verso il tavolo di Trump. Tanto che, fanno sapere da Washington, già si lavora al nuovo faccia a faccia tra i due leader, richiesto proprio da Kim. Il vertice potrebbe essere imminente. Prima del voto di midterm, pronosticano gli analisti. Non solo. La scenografia allestita dal regime ha dimostrato anche altro. Ossia che i legami tra Pechino e Pyongyang sono di nuovo saldi. E che la partita sulla denuclearizzazione della Penisola coreana non si gioca a due, a dispetto delle pretese americane. Anche Mosca sgomita. Il presidente Vladimir Putin ha invitato Kim a Mosca. E si è detto pronto – dopo aver incontrato il premier giapponese Shinzo Abe – a infittire i rapporti con Tokyo per favorire il dialogo tra le due Coree.

Il discorso ufficiale della parata lo ha tenuto Kim Yong-nam, l’anziano presidente dell’Assemblea suprema del Popolo: «Il nostro Paese è diventato una potenza militare con la più forte capacità di difesa nazionale», ha detto, senza menzionare le armi nucleari e davanti a una folla inneggiante alla riunificazione delle due Coree. E gli “attori” non invitati (ma ugualmente presenti) alla parata? Il presidente americano, domenica, ha salutato positivamente l’evento: «Grazie presidente Kim dimostreremo a tutti che sbagliano! Non c’è niente di meglio che il dialogo tra due persone che si piacciono! », ha scritto. L’assenza dalla parata dei missili che minacciano l’America era il segno che la Casa Bianca attendeva per rilanciare il negoziato. Poi c’è la Russia. Forte di legami economici sempre più stretti, Mosca entra a gamba tesa nella partita. Valentina Matvienko, portavoce della camera alta del Parlamento russo, fedelissima di Putin, ha incontrato sabato il leader a Pyongyang.

Dicendo, peraltro, che Kim non avrebbe programmato alcuna procedura unilaterale per denuclearizzare. Infine, Seul. Il presidente sudcoreano Moon Jae-in incontrerà Kim a Pyongyang il 18 settembre. Sarà il terzo summit quest’anno. I due discuteranno di «misure pratiche» verso la denuclearizzazione, hanno anticipato funzionari a Seul. La Corea del Sud si conferma come uno dei più instancabili tessitori delle trattative.

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