sabato 2 marzo 2024
L'arrivo dopo 4 giorni e un centinaio di chilometri di cammino per chiedere al governo di Israele un accordo che consenta il rilascio degli ostaggi. In 134 ancora nella mani di Hamas
La marcia organizzata dai familiari degli ostaggi alle porte di Gerusalemme

La marcia organizzata dai familiari degli ostaggi alle porte di Gerusalemme - Ansa

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Sono partiti mercoledì in qualche centinaio. Sono arrivati dopo quattro giorni e 110 chilometri macinati a piedi alla piazza Parigi di Gerusalemme in oltre ventimila. Ad accogliere i partecipanti alla Marcia “Uniti per la liberazione dei rapiti” altre migliaia di persone: hanno risposto all’appello lanciato dal Comitato dei familiari, al principio della tappa conclusiva, affinché tutta la città scendesse in strada: «Insieme riusciremo a riavere a casa i sequestrati». Dei 257 donne, uomini, bambini, anziani catturati da Hamas il 7 ottobre, 134 sono ancora nelle mani dei miliziani. Vivi o morti. Il movimento islamista rifiuta di dare il numero totale.
Più volte, però, in quasi cinque mesi di conflitto, ha diffuso l’informazione, ovviamente non verificata, di qualche decesso puntuale in modo da tenere alta la tensione. L’ultimo annuncio, appena due giorni fa, quando hanno parlato della morte di sette prigionieri, tra cui il noto pacifista Chaim Peri, 79 anni, uno dei tre anziani di Nir Oz mostrati nel video del 18 dicembre. Giunta alla vigilia dell’arrivo della carovana a Gerusalemme, la notizia ha causato forte commozione nell’opinione pubblica israeliana. Al suo interno aumentano quanti si sentono “ostaggio” della retorica della guerra a oltranza di Netanyahu. Proprio come i 134 e gli abitanti della Striscia messi in cattività da Hamas. Una parte dell’opinione pubblica israeliana comincia a sospettare, con sempre maggior forza, che l’esecutivo voglia prolungare il conflitto deliberatamente per restare al potere. A quasi 150 giorni dall’inizio della guerra – saranno domani –, lo scontento è palpabile. Da tre settimane, dopo dopo una pausa di oltre quattro mesi, sono riprese le proteste contro Netanyahu. Anche ieri, come nei sabati precedenti, in migliaia hanno marciato a Tel Aviv, Haifa, Cesarea per chiedere le dimissioni del premier, la cui popolarità è ai minimi termini. Le dimostrazioni si sono intrecciate con la marcia dei familiari e la consapevolezza diffusa che solo un accordo potrà riportare a casa i rapiti. I negoziati del Cairo, però, procedono a rilento. In realtà, ieri, fonti Usa hanno affermato che Israele avrebbe già accettato l’accordo e che ora «la palla è nel campo di Hamas». La marcia vuole arrivare alla svolta. Facendo leva in particolare sui centristi che hanno aderito all’esecutivo di unità. È rilevante, in questo senso, il sostegno all’evento da parte di Benny Gantz, riferimento dei moderati e esponente del gabinetto di guerra. Al tratto finale ha partecipato anche il leader dell’opposizione, Yair Lapid. «Non stiamo facendo abbastanza per liberare gli ostaggi», ha tuonato. Quella terminata ieri è la seconda marcia. La precedente è avvenuta a novembre, poco prima dell’unica pausa nei combattimenti e conseguente rilascio di 105 rapiti. «All’epoca ero a Gaza, prigioniera insieme a mia figlia Mia. Vedere in tv le immagini del corteo ci ha infuso forza e speranza. Per questo sono qui ora», ha detto Gabriela Leimberg, sul palco insieme alla sorella Clara – entrambe rilasciate nell’ambito dello scambio di ostaggi di tre mesi fa – e al fratello Fernando, l’unico liberato, con Luis Har, in un raid dell’esercito lo scorso 12 febbraio.
Stavolta parenti ed ex sequestrati hanno scelto di partire da Re’im, uno dei simboli dell’eccidio perpetrato da Hamas. A poca distanza dal kibbutz, là era in corso il Nova Festival quando i miliziani hanno attaccato: almeno 360 sono stati massacrati. Dal sud si sono diretti verso il centro politico del Paese, portando sulle magliette e nei cartelloni le foto degli ostaggi. A fargli compagnia, le canzoni scelte a turno dei familiari e dedicate al proprio caro a Gaza, che hanno fatto da sottofondo alla lunga traversata. A Gerusalemme sono entrati sulle note di “Jerusalem of gold” per lanciare un forte messaggio al governo: «Chiediamo al governo di non rallentare né fermare i negoziati. È tempo di mettere fine alla sofferenza degli ostaggi».

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