mercoledì 18 giugno 2025
Prove di intesa tra le milizie anti-governative: da Bruxelles a Washington, dal Balucistan alle falangi curde ecco cosa si sta muovendo dietro le quinte della guerra lanciata da Israele
La guida suprema Khamenei durante un incontro con le forze armate iraniane lo scorso febbraio

La guida suprema Khamenei durante un incontro con le forze armate iraniane lo scorso febbraio - Reuters

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Tra riunioni in segreto in Europa e missioni negli Usa alla vigilia dell’operazione “Leone nascente”, gli esponenti delle minoranze armate iraniane considerano l’attacco israeliano a Teheran e il possibile intervento degli Usa come un’occasione militarmente irripetibile.
«Dopo l'intervento di Israele del 12 giugno, è diventata più chiara la necessità di sostenere i gruppi etnici non persiani del Paese, per far crollare il regime degli ayatollah. Una coalizione di gruppi etnici non persiani potrebbe rovesciare il regime in pochi mesi», è la valutazione emersa nel corso di un vertice in Belgio nei giorni scorsi. C’erano alcuni capi delle milizie che negli ultimi mesi hanno ricevuto armi ed equipaggiamento attraverso canali aperti non solo dall’intelligence occidentale. Una delle sedi estere della dissidenza in armi si trova a Bruxelles, dove tra gli altri risiede Aref Al Kaabi tra i leader separatisti accusati di ricevere sostegno diretto dai sauditi. Si tratta della “Resistenza Nazionale Ahwazi”, il gruppo armato segreto della provincia di Ahwaz, nel Khuzestan. Ma non è che una parte delle milizie che Teheran accusa di svariati atti di terrorismo. Proprio nella “capitale” dell’Ue, a quanto risulta ad “Avvenire”, si sono incontrati fra gli altri proprio Aref Al Kaabi (Chabi, come è noto in persiano), “presidente del Comitato Esecutivo di Ahwaz”, e Reza Kaabi, segretario Generale del “Partito rivoluzionario Komala del Kurdistan”, «per discutere del futuro dell'Iran». Più di qualcosa si sta muovendo nel ventre molle del sistema iraniano e le minoranze potrebbero tentare la mossa di Davide contro il gigante Golia.
Soffocate dalle impiccagioni di piazza, deportati e torturati dal regime, non si ha notizia di sigle militarizzate persiane contro la teocrazia sciita. Al contrario dei gruppi etnici che non hanno mai rinunciato all’ipotesi di una rivolta armata. Sul terreno ci sarebbero però tracce della presenza armata di esponenti iraniani dei Mujaheddin del Popolo (Esercito di Liberazione Nazionale dell'Iran) spesso indicati con le sigle Pmoi o Mko). Tuttavia la formazione, decimata dalla persecuzione e trasferita all’estero dove tra l’altro ha stabilito “basi pacifiche” nei balcani e specialmente in Albania, non è accreditata di capacità militari rilevanti. I leader in esilio hanno ufficialmente abbandonato la lotta armata, ma tra i giovani iraniani non manca chi invoca un ritorno allo scontro, a partire proprio dalle passate esperienze di resistenza di ispirazione marxista. Considerata l’ampia avversione internazionale per gli ayatollah, le ideologie che spingono i gruppi dell’opposizione sono considerate per il momento una questione secondaria.
La rete della dissidenza armata non è mai stata capillare e spesso relegata agli angoli lontani della Persia degli ayatollah. Una periferia che oggi può risultare insidiosa. Sul terreno i militanti possono fare da occhi e orecchie per i servizi segreti delle potenze arrivate ai ferri corti con Teheran. A ovest, gli arabi sciiti nel Khuzestan. A sud ovest, i beluci sunniti nel Sistan-Belucistan. A nord ovest, i curdi sunniti nel Kurdistan iraniano. Poi gli azeri sciiti nell'Azerbaijan persiano e i turcomanni sunniti nella regione nordorientale di Khorasan.
I curdi possono contare su diverse fazioni armate, in passato non di rado in concorrenza tra loro. Si chiamano “Vita Libera del Kurdistan” (Pjak); “Partito Democratico del Kurdistan Iraniano” (Kdpi); ci sono il “Partito Komala del Kurdistan Iraniano” (Komala) e il “Partito della Libertà del Kurdistan (Pak). Il Kdpi esiste dagli anni '40 e il Komala dagli anni '60. Sono in grado di radunare migliaia di persone, finora non abbastanza per far tremare l’ayatollah Khamenei. I beluci possono contare sul cosiddetto “Esercito Balochi”, organizzazione ombrello che copre l'intero Belucistan, che nel nome ha identità e scopo: “Esercito di Liberazione del Belucistan” (Bla). I leader locali vedono ora l’opportunità di tirar fuori le armi dai nascondigli e costituire un’alleanza che metta da parte dissidi e ambizioni personali, per cacciare gli ayatollah e stabilire da subito le condizioni per scongiurare un successivo scontro interno.
Mentre a Bruxelles si vedevano alcuni dei referenti politico-militari delle minoranze, dall’altra parte dell’Atlantico si è recato Abdullah Mohtadi, leader dell’altro movimento curdo, il più noto e organizzato “Partito Komala del Kurdistan iraniano”. È volato negli Stati Uniti «per ribadire la posizione di pieno sostegno a un Iran non nucleare», ha detto. Le coincidenze, per chi conosce quel labirinto minato che è il Medio Oriente, non esistono. Due giorni fa Mothadi inviava ai suoi sostenitori un messaggio in parte da decifrare. Gli incontri americani «si sono svolti a Capitol Hill (il Parlamento Usa, ndr) e con osservatori dell'Iran al di fuori del governo statunitense». A chi si riferisse, se ai sauditi o ad altre entità, non ha voluto precisarlo. Una cosa però il leader curdo, che ha rimproverato l’Europa per essersi fatta da parte, ha voluto ripetere per rassicurare chi teme che possa scoppiare una guerra interna tra diverse fazioni fino a tracimare specialmente fino al confine turco: «Siamo a favore di un Iran democratico, dei diritti dei curdi e della pace con i nostri vicini».
I tempi stringono, a giudicare anche dalle parole di Abdullah Mohtadi, che ha lasciato gli Usa con un saluto sibillino: «La prossima settimana sarà importante».

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