martedì 18 maggio 2010
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«Il principale problema strategico è che non è chiaro l’obiettivo della presenza straniera in Afghanistan. Qual è l’obiettivo che, una volta raggiunto, darà l’avvio al ritiro? Nè la Nato nè gli Stati Uniti sono stati sufficientemente chiari. Con Obama si sono avuti solo dei correttivi parziali adattando alcuni elementi della strategia irachena». Elisa Giunchi, politologa dell’università statale di Milano autrice di Afghanistan. Storia e società nel cuore dell’Asia (Carocci 2007), elenca veloce gli elementi dell’inestricabile matassa afghana. «Offensive come quella nell’Helmand non possono far sparire i taleban, pretesa eccessiva, ma semmai obbligarli al tavolo negoziale in una situazione di debolezza. Il tentativo di sostenere economicamente leader tribali in funzione anti-taleban trova un formidabile ostacolo nella presenza maggioritaria in tutto il Sud dell’etnia pashtun, la stessa dei taleban».Una incerta strategia della Nato, ma Karzai, dopo le contestate elezioni di agosto e la bocciatura per due volte dei suoi ministri davanti al parlamento può essersi rilegittimato solo con la visita la settimana scorsa alla Casa Bianca?Si ha l’impressione che l’amministrazione Obama farebbe volentieri a meno di lui, ma non ha alternative. Il fatto di essersi presentato da solo al ballottaggio ha eroso la sua immagine, erodendo pure nel Paese l’immagine della democrazia.  Inoltre Karzai ha sempre perseguito una politica di compromesso cooptando sia i fondamentalisti come i signori della guerra. Una cooptazione avviata con il consenso britannico e statunitense ma che ha creato una posizione debitoria del governo verso alcuni gruppi.Non sembrano buone premesse per la Jirga di pace del 29 maggio per dialogare con i «taleban moderati»...Innanzi tutto bisogna chiarirci sul termine «taleban moderati». Se sono quelli disposti a lasciare le armi, Karzai è dal 2002 che tenta, senza successo, di dialogare. Come pensare che avvenga ora che i taleban rioccupano gran parte del territorio e che le truppe statunitensi hanno annunciato il ritiro nel 2011? In un anno si può ribaltare il conflitto? E se ciò si riuscisse a fare, perché allora cooptare i taleban che in un governo attuerebbero politiche decisamente anti-democratiche. Un dialogo poco probabile e che non pare nemmeno auspicabile.Dunque come procedere?Troppo tardi Bush e poi Obama hanno capito che la soluzione va cercata nel contesto regionale: porre fine all’influenza del Pakistan che vuole trasformare l’Afghanistan in uno stato cliente in funzione anti-indiana. Anni di ritardo per capire questo nodo per cui a Washington si è ancora elaborata una politica efficace verso il Pakistan. Il termine del 2011 per il ritiro, in questo contesto, mi strumentale a promesse elettorali sia negli Usa che in Afghanistan, ma poco realistico. Si dovrà restare a lungo. Ma l’Italia cosa potrebbe pretendere, in virtù della sua presenza, alla coalizione Isaf?Obiettivi strategici finali chiari e tenere alto il dibattito e pensando al quadro generale. E poi, per attrarre i taleban non ideologizzati, puntare a politiche di ricostruzione nel medio periodo in aree sicure.
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