sabato 20 agosto 2022
Padre Vasyl Vyrozub, della Chiesa ortodossa della Trinità di Odessa, è stato imprigionato e seviziato dai russi: «Non ho rancore»
Padre Vasyl, il secondo a destra, e gli altri pastori

Padre Vasyl, il secondo a destra, e gli altri pastori

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Nella cella 38 pensava che il momento peggiore fosse quello delle torture. Ogni giorno, per tre mesi. «No, il momento peggiore era quando sentivamo seviziare gli altri, specialmente quando violentavano le donne ucraine catturate». Padre Vasyl Vyrozub è il rettore della chiesa ortodossa della Trinità, a Odessa. Ma è anche il cappellano dell’Isola dei Serpenti, il minuscolo ma strategico avamposto militare ucraino conquistato dai russi nelle prime ore di guerra e ripreso da Kiev poche settimane fa. Proprio qui padre Vasyl è stato catturato.
A giugno ci aveva parlato sommariamente della detenzione in Crimea e nel Donbass: «Qualche spintone e una volta un colpo alla testa con il calcio del fucile», raccontò minimizzando. Si capiva, però, che nascondeva qualcosa. Forse per pudore. Invece, era stato zitto «perché non volevo irritare i russi nel momento in cui si negoziavano altri scambi di prigionieri». Ma adesso basta. Quello che è accaduto a lui sta capitando a centinaia di altri detenuti. «Quando ho visto far saltare in aria la prigione di Olenivka dove sono stati uccisi deliberatamente più di 50 militari appartenenti al battaglione Azov e ad altri reggimenti ucraini, ho deciso di far sapere». In tutto 34 pagine già acquisite da Corte penale internazionale, Corte europea dei diritti dell’uomo, Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite oltre che dagli investigatori di Kiev.
Accetta di incontrare Avvenire e consegnare per la prima volta la deposizione perché «prima di tutto voglio ringraziare papa Francesco. Il suo affetto, la sua vicinanza, i suoi pensieri per noi me lo fanno sentire vicino, come un fratello che ci ama e ci sostiene».
Non c’è una sola parola di odio nella deposizione di padre Vasyl, che nella sagrestia tiene in bella mostra la sequenza di santi guaritori della tradizione d’Oriente. Il 24 febbraio, giorno dell’inizio della guerra, era a Odessa. Appena il tempo di portare la sua famiglia oltre il confine moldavo e alla sera era già in chiesa. Appena saputo che l’Isola dei Serpenti era stata conquistata da Mosca, insieme al cappellano protestante, a quello evangelico e a un medico, salì su una nave civile adibita all’assistenza portuale per recarsi a chiedere ai russi di restituire i cadaveri dei 13 soldati di stanza sull’isolotto. Pensava di poterli convincere, anche perché dal 1988 al 1990 aveva svolto il servizio militare a San Pietroburgo, quando ancora si chiamava Leningrado. «Eravamo tutti disarmati, ma i russi ci hanno catturati. E così abbiamo scoperto che in realtà i soldati ucraini erano vivi, ma imprigionati in Crimea». Il giorno dopo padre Vasyl era nello stesso centro di detenzione.
A questo punto la storia prende una piega inattesa. I tre pregano ogni giorno insieme, a voce alta. Pregano e cantano, così da confortare gli uomini e le donne delle celle vicine. Ai russi non piace questo inedito “ecumenismo della reclusione”. Più pregano e più gliele suonano. Gli interrogatori si fanno più duri. A volte tragicomici. «Un ragazzo con la divisa mi schiaffeggiava chiedendomi se sapevo dove tenevamo nascosto il leader antirusso Stephan Bandera. E sono scoppiato a ridere», racconta. Il controverso Bandera nella Seconda Guerra mondiale fondò l’esercito partigiano Upa, che combatté prima contro i polacchi, poi contro l’Armata rossa al fianco dei nazisti, e infine contro gli stessi tedeschi.
Un’altra volta padre Vasyl venne selvaggiamente picchiato perché un ufficiale russo, lasciando l’interrogatorio, chiese a un attendente di preparargli un tè porgendogli un bollitore elettrico. Il soldato non ne aveva mai visto uno in vita sua. Anziché attaccare la corrente mise la caraffa sul fornello al gas. Quando padre Vasyl provò a spiegargli che stava per mettersi nei pasticci, il soldato lo prese a schiaffi: «Chi ha dato a voi Ucraini il diritto di vivere nella modernità e sapere queste cose?».
Da buon prete che la sa lunga, padre Vasyl ha approfittato della detenzione per raccogliere informazioni. E se un giorno il direttore della prigione verrà perseguito, lo si deve a lui, che ne ha ricostruito e memorizzato una parte dell’organigramma.
La sessione di torture variava a seconda del sadismo dell’aguzzino: calci, pugni, ginocchiate, colpi continuati contro la testa, bruciature, scosse elettriche. «Perché colpite un prete?», chiedeva mentre per tutta risposta si sentiva dire di avere tradito la chiesa del patriarca di Mosca, Kirill. «Alcune volte – si legge nella deposizione – mi giravano contro il muro, poi in due prendevano le braccia e le tendevano da una parte e dall’altra, in diagonale, e poi le attorcigliavano in modo innaturale. Sentivo un dolore insopportabile alle spalle e ai polsi. La testa veniva tirata verso l’esterno, e le gambe venivano piegate all’altezza delle spalle». Il dolore era insopportabile. Così bloccato, veniva picchiato fino a fargli perdere conoscenza.
Prima di salutarci padre Vasyl vuole dirci cosa pensa del futuro: «La cosa peggiore fatta da Putin? Portare due popoli che erano fratelli a odiarsi. E l’odio non svanirà con la fine della guerra».

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