venerdì 22 gennaio 2010
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Il piano per rimettere in sesto Haiti c’è già: Food for work e Voucher for food. L’Onu agirà lungo due direttrici: «Un salario ai terremotati coinvolgendoli nella ricostruzione, e coupon alle famiglie con cui acquistare alimenti direttamente dai produttori e dai rivenditori locali». Concluso il suo incarico da inviato speciale dell’Onu in Iraq, Staffan De Mistura è tornato da vicedirettore esecutivo al Programma alimentare mondiale (Pam), l’Agenzia a capo della logistica Onu, una sorta di protezione civile internazionale.Qual è lo scopo dei vostri piani d’intervento?L’immane tragedia può essere una opportunità per avviare quantomeno un’economia di base, innescando un circolo virtuoso che ad Haiti non c’era neanche prima del sisma. Così i contadini, per esempio, potranno tornare ai campi e lo stesso gli allevatori, offrendo prospettive certe di cui c’era grande necessità.Come si sta svolgendo la vostra azione?Il Pam sta facendo affluire assistenza umanitaria, aprendo corridoi aerei, marittimi e via terra, riabilitando le telecomunicazioni d’emergenza con l’obiettivo di fornire razioni settimanali a 2 milioni di persone già nei prossimi giorni. Finora abbiamo distribuito cibo a 200 mila persone attraverso quattro centri di distribuzione che nelle prossime ore copriranno più di 30 località.La risposta della comunità internazionale, per quanto generosa, appare confusa. Ci sono aerei carichi di aiuti che non riescono ad atterrare a Port-au-Prince. Qual è il problema?Il terremoto ha demolito anche le poche infrastrutture funzionanti, complicando ancora di più gli interventi e rallentando l’afflusso di aiuti soprattutto per via aerea, data la ridotta funzionalità dell’aeroporto. Ma quando ci sono 1,8 milioni di persone in condizioni alimentari molto difficili, e una larga parte della popolazione civile rimasta senza tetto, il problema del "troppo" non si pone. Ci sono complicazioni, è vero, difficoltà che stiamo superano. Laddove non abbiamo scelta usiamo la tecnica del lancio di razioni da bassa quota (un metodo utilizzato per la prima volta dall’Onu in Ciad nel 1972 proprio sotto il coordinamento di De Mistura, ndr).Superate le prime settimane, come intendete procedere?Pensiamo a progetti come "Food for work", ovvero cibo in cambio del lavoro per la ricostruzione, e "Food vouchers", cioè denaro alle famiglie perché possano acquistare generi alimentari dai rivenditori e dai produttori del posto. Haiti è ed è sempre stato un Paese molto sfortunato, forse da questo dramma si potranno costruire prospettive più solide per il futuro.I vostri uomini a Port-au-Prince come descrivono la situazione sul campo?Ci sono molte complessità, anche a causa delle nuove scosse di terremoto che rischiano di far crollare gli edifici che hanno resistito alla prima ondata. I nostri funzionari ci ribadiscono che non ci sono rivolte o ribellioni di massa, vi sono certamente scene di disperazione ed anche aggressività da parte di alcune bande, ma questo non impedisce lo svolgimento della nostra attività. Nel complesso la popolazione sta reagendo con dignità.Gli Stati Uniti hanno inviato i marines, lo stesso intendono fare altri Paesi. Non teme che l’intervento umanitario si trasformi nell’occupazione permanente di un’area strategicamente vantaggiosa?La questione non si pone affatto. Lì c’era una forza dell’Onu che è stata implementata da una nuova risoluzione approvata mercoledì e che innalzerà a 13.500 unità la presenza dei caschi blu. Saranno loro ad occuparsi della sicurezza. L’arrivo dei marines è in funzione specifica di sostegno ai convogli umanitari. È un fatto temporaneo, ma come sempre in queste condizioni non c’è nessuno più efficace dei militari in termini di logistica.Come giudica la risposta dell’Italia?Prima di tutto mi sento di dire grazie, perché la reazione dell’Italia e degli italiani, come sempre è stata generosa, efficace e motivata. Il primo aiuto al Pam è arrivato proprio da Roma. La cosa importante è non far cadere queste motivazioni quando il livello d’attenzione mediatica si abbasserà.Lei è stato presente alle più grandi tragedie degli ultimi quattro decenni. Qual è l’immagine della devastazione che più l’ha colpita?In 38 anni al servizio dell’Onu ho perso molti colleghi, ma mai avrei pensato di doverne piangere altri a causa di un terremoto. C’è un momento che noi delle Nazioni Unite non dimenticheremo mai: vedere gli haitiani sopravvissuti scavare a mani nude per trovare e salvare i nostri colleghi ancora vivi. Di solito accade il contrario, ma forse il senso della nostra missione è anche questo.
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