venerdì 1 ottobre 2010
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Il punto demografico «di non ritorno» è vicino. Senza una netta inversione nelle politiche di sostegno economico e fiscale alle famiglie, «oggi al palo», l’inverno demografico ci porterà alla glaciazione. Per Gian Carlo Blangiardo, ordinario di demografia a Milano Bicocca, «pochi bambini oggi significa ancora meno mamme domani. E non basterà nemmeno se faranno quattro figli».Quali sono i segnali più gravi sull’inverno demografico d’Europa?È evidente ormai l’incapacità delle popolazioni europee di garantire il ricambio generazionale. Dal 1977 siamo sotto alla media dei 2 figli per donna, in quasi tutti i paesi Ocse. Oggi la media è 1,6, a parte il 2 della Francia. La famiglia ha sempre svolto un ruolo fondamentale di ammortizzatore sociale. Oggi è in crisi. Lo dice la scarsa propensione a creare coppie stabili, l’aumento delle dissoluzioni, l’aspirazione al figlio unico. Non solo: le famiglie di un componente, oggi circa il 20%, arriveranno al 40%. Famiglie solo sulla carta, spesso sono vedove anziane. La "risorsa famiglia" sta diventando estremamente debole.L’apporto delle famiglie immigrate può contribuire?Attenzione alle false illusioni. Non speriamo di risolvere tutto importando il capitale umano che qui non riusciamo più a produrre. Intanto, se acceleriamo troppo il processo di mutamento sociale, rischiamo di far saltare l’equilibrio, alimentando derive xenofobe. Ma non solo. Nel 2009 sono nati circa 80 mila bambini da immigrati: non pochi, su 560 mila nascite complessive, ma non basteranno. Perché le famiglie straniere si stanno adeguando al modello italiano: nel 2006 le immigrate avevano 2,6 figli a testa, nel 2009 sono scese a 2. E nelle grandi città, dove hanno più difficoltà, anche loro sono largamente al di sotto della quota di ricambio generazionale. Non hanno neanche l’aiuto dei nonni e, più spesso degli italiani, lavorano moglie e marito. Le tradizioni autoctone non possono più di tanto: il modello locale vince su quello importato. Puntare solo sulla soluzione-immigrati dunque è rischioso.È anche un buon alibi per i politici?A costo zero non ne veniamo fuori. Più andiamo avanti e più sarà difficile uscirne. Questa la diagnosi. Le cure?Quelle che funzionano sono di due tipi. Innanzitutto economiche: un figlio costa ed è tutto a carico della famiglia. Il figlio unico soddisfa il desiderio di genitorialità, costa ma ne vale la pena. Il secondo non serve. Poi c’è la compatibilità tra maternità e lavoro, che va resa possibile con norme mirate. Infine i servizi, cioé mettere fine alle liste d’attesa per l’asilo nido. Sul fronte del lavoro femminile in Italia bene o male esistono leggi e sensibilità, vedi il congedo parentale. Anche sulle strutture, qualcosa è stato fatto, con investimenti pubblici, aperture al privato sociale, sperimentazioni come gli asili condominiali.E sugli aiuti e il fisco?Siamo al palo. Le detrazioni sono ridicole, nemmeno il costo del figlio di una famiglia ufficialmente povera. Altro che quoziente familiare. Il presidente del Forum delle famiglie, Francesco Belletti, dice che servono 16 miliardi. Forse oggi non ci sono, ma basterebbe preparare un piano, partire, andare in una direzione. In Francia da sempre c’è più sensibilità e – sarà un caso? – hanno 2 figli per donna. E i Paesi scandinavi, che valorizzano i servizi sociali, sono appena sotto. C’è il rischio, come per il riscaldamento globale, di un punto di non ritorno?Quando in Italia nascevano un milione di bambini, 25 anni dopo c’erano mezzo milione di potenziali madri. Tra 25 anni le mamme saranno 250 mila. O faranno 4 figli ciascuna, ma non credo, oppure – anche con le migliori politiche – produrremo numeri inconsistenti.
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