venerdì 2 ottobre 2009
Sul numero dei dispersi, agghiacciante, concordano Onu e Croce Rossa. Si scava senza sosta, ma mancano i mezzi di soccorso nonostante sia partita la gara internazionale di solidarietà al paese colpito dal terribile sisma. Il bilancio delle vittime accertate è fermo a 1100. Le testimonianze dei sopravvissuti: «La terra sembrava esplodere. Poi solo morti e feriti, non abbiamo un attimo di tregua».
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È senza fine la tragedia dell’Indonesia alle prese con gli effetti del devastante terremoto di mercoledì scorso. Non solo per le evidenti difficoltà dei soccorsi, ma anche perché la terra continua a tremare. Ieri, almeno tre eventi sismici maggiori, scosse di assestamento secondo gli esperti, hanno colpito le Molucche e una regione costiera di Sumatra equidistante da quelle di Padang e di Jambi.Continuano le ricerche tra le macerie dei sopravvissuti al terremoto: sono tentativi disperati di salvare le almeno 4000 persone che sarebbero ancora sepolte sotto le macerie. Le stime, agghiaccianti, sono del coordinatore degli aiuti umanitari dell'Onu, El-Mostafa Benlamlih. "Stimiamo che da 3.000 a 4.000 persone siano ancora intrappolate sotto le macerie", ha affermato. Numeri confermati anche dal responsabile in Indonesia della Croce Rossa Internazionale, Bob McKerrow, che ha parlato di 4000 persone sepolte a seguito del suo tour nella città di Padang. Mentre continuano le ricerche con i cani da fiuto e gli equipaggiamenti a raggi infrarossi, proprio a Padang un uomo ha inviato da sotto le macerie della sua casa, dove è intrappolato insieme alla moglie ma ancora vivo, un sms a suo padre a Giacarta, a 900 chilometri di distanza. In un albergo, l'Ambacang Hotel, le squadre di soccorso hanno trovato otto persone ancora vive sotto le rovine e stanno cercando di costruire un tunnel per tentarne il recupero. Il bilancio delle vittime resta ancora quello di 1100, come stimato dal coordinamento umanitario dell'Onu in Indonesia.Gli aiuti ai migliaia di sfollati hanno iniziato ad arrivare, ma la mancanza di corrente e di equipaggiamento adeguato rendono difficili le operazioni di soccorso nella città - capitale della Sumatra Occidentale con 900.000 abitanti - e nelle zone circostanti. "Abbiamo estratto 38 bambini dopo il terremoto. Alcuni, il primo giorno, erano ancora vivi, ma gli ultimi che abbiamo tirato fuori erano tutti morti", spiega il caposquadra Suria che, come molti indonesiani, usa solo il nome di battesimo. Una donna è stata estratta viva dalle macerie di una scuola, più di 40 ore dopo il sisma. Un tunnel è stato scavato tra la montagna di destriti per raggiungere Sari, una studentessa di 21 anni di una scuola di lingue.Appello agli aiuti internazionali. All’appello alla solidarietà internazionale lanciato dal ministro della Sanità indonesiano Siti Fadilah Supari, che aveva chiesto squadre internazionali di soccorso e di ricerca dei dispersi, stanno invece rispondendo in molti. Soccorritori di numerose organizzazioni governative e non governative stanno convergendo sulle zone più colpite. Tra questi vigili del fuoco e specialisti britannici. L’Australia ha messo a disposizione una squadra di 44 soccorritori e 10 ingegneri dell’esercito. Aiuti concreti anche da Paesi più vicini. Da Singapore, il cui invio di 42 operatori della protezione civile è stato bloccato da Giacarta perché a Padang non esistono al momento strutture in grado di accoglierli, e dalla Thailandia, che ha predisposto l’invio di una squadra medica. Alla commozione di Barack Obama, che ieri si è detto «profondamente dispiaciuto» è seguita ieri sera una telefonata al presidente Yudhoyono in cui ha promesso lo stanziamento di 300mila dollari e la promessa di altri 3 milioni; a 3 milioni di euro ammontano gli aiuti d’emergenza dell’Unione europea e a 500mila dollari quelli cinesi. A un milione di euro ammonta un ulteriore impegno tedesco, mentre dalla svizzera partiranno 120 uomini della protezione civile. Da parte sua, Giacarta ha stanziato 26 milioni di dollari per la gestione dell’emergenza. La testimonianza. La terra che sembra “esplodere”, il pavimento che all’improvviso diventa una tavola di surf in balia delle onde. Padre Fernando Abis, missionario saveriano, cerca di trovare le parole per “fermare” quegli attimi terribili: «Stavo facendo una fotocopia. All’improvviso il terremoto. Ho pensato: ci siamo. Mi sono aggrappato a una porta, ho trovato rifugio sotto un arco». Per chi – come padre Fernando, originario di Cagliari – vive a lavora in Indonesia ormai da 38 anni, quello con i terremoti diventa, inevitabilmente, una sorta di consuetudine. Un “invito” alla convivenza con la paura e l’imponderabile. «Ma questo – confessa il missionario, da appena 15 giorni a Padang, epicentro “naturale” di una lunga serie di terremoti a causa della sua posizione geografica – è stato il peggiore di tutti». La “casa” dei saveriani ha tenuto. Il sisma ha inferto delle ferite all’edificio, «siamo senza gas, senza luce, senza linea telefonica – racconta ancora il sacerdote – ma è andata bene, poteva andare anche molto peggio». Il tempo per gioire è durato un attimo. Fuori è tutto un disastro. Edifici sventrati. Macerie. La corsa contro il tempo per tirare fuori chi è rimasto sepolto. Per soccorrere i feriti. «L’ospedale avviato dalla Chiesa cattolica – racconta padre Fernando – ha subito moltissimi danni. Sono stati evacuati i piani superiori e la stessa facciata ha subito profonde lesioni. Ma, nonostante questo, si continua a lavorare a pieno ritmo. Cattolici, protestanti e musulmani: assieme. Il centro è diretto da padre Laruffa che, nonostante gli 80 anni e un by-pass, si sta prodigando in modo instancabile». I feriti, che arrivano in continuazione, vengono curati «in tende appositamente preparate». Ora si pensa anche agli studenti, ad assicurare loro una parvenza di normalità. «Cerchiamo – dice ancora il missionario – tende da 20 posti per poter svolgere regolarmente le lezioni, i ragazzi devono continuare a studiare. Il 20-30 per cento delle persone ha la casa distrutta». Per il missionario, per ora, c’è ancora cibo a sufficienza. Ma è inevitabile che le scorte si esauriranno in breve tempo. «Bisogna fare presto con gli aiuti». Poi c’è il “buco nero” delle zone più interne dell’isola. I collegamenti stradali sono interrotti. Le linee telefoniche saltate. Impossibile qualsiasi comunicazione. C’è la paura che lì possa iniziare una nuova conta, terribile, delle vittime.
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