martedì 9 maggio 2017
Si allunga l'ombra dell'estremismo islamico nel Paese ex modello di tolleranza. I giudici più duri delle richieste dell'accusa. Opposti gruppi davanti al tribunale
Per blasfemia 2 anni di carcere all'ex governatore cristiano di Giacarta
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È stato condannato a due anni di carcere il governatore uscente di Giacarta, cristiano, giudicato colpevole di blasfemia. Una sentenza che rischia di incidere pesantemente sul futuro di un Paese, l'Indonesia, ritenuto finora un modello esemplare di islam tollerante e di pacifica convivenza fra diverse fedi ed etnia. I giudici sono andati persino oltre le richieste dell'accusa, che aveva chiesto per l'ex governatore due anni di libertà vigilata. Basuki Tjahaja Purnama, di origine cinese e meglio conosciuto come Ahok, ha già annunciato che ricorrerà in appello. Ad aprile è stato battuto da un musulmano nelle elezioni per il rinnovo della carica.

La sentenza e l'arresto

Il giudice Dwiarso Santiarto Budi ha riferito che i cinque giudici della Corte hanno ritenuto Purnama «colpevole di blasfemia». Ha inoltre ordinato l'arresto immediato, aggiungendo che Ahok «non ha mostrato pentimento» e che ha rischiato di «rompere l'unità» dell'Indonesia. «Sono cresciuto tra i musulmani, non è possibile che abbia intenzionalmente insultato l'islam, perché ciò significherebbe mancare di rispetto alle persone che amo e apprezzo», ha dichiarato Ahok in aula, quasi in lacrime. Fuori dal tribunale si è raccolta una piccola folla che scandiva slogan del tipo «Allah è il più grande». Mentre un altro gruppo contrapposto chiedeva la liberazione dell'ex governatore, esponente di due minoranze: quella cinese e quella cristiana. Nella capitale indonesiana sono stati dispiegati 13mila poliziotti per timore di disordini.

La vicenda e gli scontri

Noto per la sua schiettezza, Ahok aveva detto a settembre in un comizio che l'interpretazione da parte di alcuni ulema (teologi islamici) di un versetto del Corano secondo il quale un musulmano dovrebbe eleggere un leader della sua fede religiosa «non era corretta». Era un invito a votare secondo coscienza, a prescindere dalla fede religiosa. Ma quella dichiarazione ha provocato un'ondata di proteste che, tra novembre e dicembre, hanno riversato per le strada di Giacarta centinaia di migliaia di manifestanti. Il 4 novembre si è arrivati alla tragedia, con un morto e decine di feriti negli scontri con la polizia.

La vicenda è stata sfruttata dai fondamentalisti islamici che hanno fatto pressioni per la detenzione di Ahok. Il governatore è stato quindi incriminato per blasfemia, reato per il quale sono previsti fino a cinque anni di reclusione.

L'Indonesia e l'islam moderato

La vicenda mette alla prova il pluralismo religioso nel Paese musulmano più popoloso del mondo e riflette la crescente influenza dei conservatori, decisi a portare avanti una linea intransigente. Per anni considerata bandiera di un islam moderato, l'Indonesia sta facendo i contri con l'aumento di attacchi alle minoranze, in particolare quella cristiana. Mentre fino a qualche anno fa convivevano senza problemi milioni di hindu e cristiani, ma anche musulmani sciiti, musulmani ahmadi ed esponenti di altre minoranze interne all'islam, ora la situazione rischia di cambiare.

Il presidente riformatore

La sentenza sull'ex governatore cristiano arriva all'indomani della decisione del governo del presidente riformatore Joko Widodo, governatore di Giacarta fino all'elezione a capo di Stato nel 2014, di sciogliere il gruppo islamista Hizbut Tahrir Indonesia (Hti), accusato di attentare alla coesione nazionale. Lo stesso gruppo, che punta all'applicazione della sharia (la legge islamica) in tutta l'Indonesia, aveva partecipato alle manifestazioni di piazza dei mesi scorsi contro Ahok e contro il fatto che un cristiano governasse Giacarta.

«Chiedo che tutte le parti rispettino il processo legale e la sentenza che è stata letta dal collegio dei giudici, e sia rispettata anche la decisione di Basuki Tjahaja Purnama di ricorrere in appello» ha detto il presidente Widodo. «La cosa più importante - ha aggiunto - è che tutti noi crediamo nel meccanismo legale per risolvere ogni problema e che è così che un Paese democratico risolve diversità di vedute».

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