venerdì 2 aprile 2010
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Un anno fa, l’India cristiana viveva ancora sotto assedio, affrontava nell’incertezza la Pasqua di Resurrezione. Quest’anno, tra le foreste dell’Orissa come a New Delhi e Mumbai, si moltiplicano iniziative per restituire dignità e giustizia alle minoranza religiose. Il fondamentalismo induista manovrato dal sottobosco della politica e degli affari è sulla difensiva. A contrastarlo, la forte attenzione internazionale sulle vicende dei cristiani indiani, ma anche il recupero politico del Partito del Congresso, guidato da Sonia Gandhi. Due provvedimenti importanti in discussione a favore delle minoranze e dei dalit raccolgono ugualmente attese e critiche. I cristiani, attivisti religiosi e laici, episcopato premono affinché «non siano soltanto dei provvedimenti di facciata». Sul terreno, in diversi Stati e in particolare in quelli che hanno da tempo attuato "leggi anticonversione" che giustificano pressioni e repressione, come Orissa, Madhya Pradesh, Gujarat, Rajasthan e Tamil Nadu, troppe mediazioni e troppi interessi consentono ancora ai movimenti nazionalisti e xenofobi che si riconoscono nel Sangh Parivar (la Famiglia della Fede) di porre veti e intraprendere azioni contrari agli interessi delle fedi minoritarie, in particolare contro i cristiani, che hanno a loro carico tre "peccati originali": radici di fede esterne al territorio indiano, senso della giustizia senza distinzioni, concreta presenza tra i gruppi meno favoriti di popolazione. Elementi che – nella propaganda della galassia induista e fino alla sua "cupola" politica, il Bharatiya Janata Party – incentivano le conversioni di indù di bassa casta e di tribali e l’erosione di un sistema di potere basato insieme sulle antiche pratiche castali e sui privilegi del potere e del denaro. Lo scorso novembre, il primo ministro dello Stato di Orissa, Naveen Patnaik, aveva dovuto ammettere davanti al Parlamento locale che ben 524 degli arrestati per le violenze in Kandhamal erano menbri di Rss, Vishwa Hindu Parishad e Bajrang Dal, movimenti fautori di un’India per i soli indù.Ciononostante, con un’apertura alla speranza rimarcata dai vescovi in avvicinamento alla Pasqua, «la situazione in Orissa, soprattutto nel Kandhamal, sta migliorando. Le abitazioni nei villaggi interessati dalle violenze vengono ricostruite quasi ovunque con la concreta collaborazione tra enti governativi e statali e le strutture di assistenza cristiane – dice padre Ajay Singh, dei servizi sociali dell’arcidiocesi di Cuttack-Bhubaneswar –. Più difficile ricostruire la fiducia. Ancora in diversi villaggi i cristiani sono minacciati al loro rientro e devono andarsene. La presenza delle forze di sicurezza resta ancora tangibile e rende meno credibile il tentativo dei gruppi politici filoinduisti di mostrare una realtà normalizzata». Significativamente, in Quaresima è arrivata l’iniziativa delle diocesi dell’Orissa di aprire una pratica affinché i cristiani uccisi durante le violenze in Kandhamal vengano dichiarati ufficialmente «martiri per la fede». Una decisione che per il vescovo  di Berhampur in Orissa, monsignor Sarat Chandra Nayak, esperto di Diritto canonico, «dovrà concretizzarsi, perché necessaria».
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