
I danni provocati nella città di Jammu dai raid pachistani - ANSA
La conferma è arrivata subito, rimbalzando tra New Delhi e Islamabad. India e Pakistan, mentre sembravano sempre più avvitate in una inquietante spirale di violenza e attacchi, hanno raggiunto un «cessate il fuoco totale e immediato». Parola di Donald Trump, che “riscatta”, così, il fallimento diplomatico in Ucraina, ancora lontana dalla cessazione delle ostilità. «Congratulazioni a entrambi i Paesi per aver dimostrato buon senso e grande intelligenza», ha aggiunto il presidente Usa. L'intesa, ha spiegato il ministro degli Esteri indiano Vikram Misri, è stata raggiunta direttamente tra i due Paesi dopo una telefonata tra i due direttori delle operazioni militari. A sua volta, il segretario di Stato Usa, Mark Rubio ha annunciato «l’avvio di negoziati diretti su una vasta gamma di questioni in un sito neutrale». Dalle 17 (ora indiana), e dopo 66 vittime sia indiane che pachistane, le armi hanno taciuto. I combattimenti sono iniziati mercoledì scorso, quando l’India ha effettuato attacchi contro quella che ha definito «un’infrastruttura terroristica» , due settimane dopo la morte di 26 persone in un attacco contro turisti indù nel Kashmir.
L’annuncio del cessate il fuoco è arrivato dopo una notte scandita da attacchi da entrambe le parti. Islamabad alle prime ore dell’alba di ieri ha lanciato missili contro basi indiane in Kashmir e Punjab dopo aver accusato Delhi di aver attaccato, nella notte, tre delle sue basi aeree, uccidendo 13 civili. «Il Pakistan ha vendicato i morti innocenti con una risposta adeguata all’India», ha detto il primo ministro pachistano Shehbaz Sharif. E che la tensione sembrava destinata ad alzarsi ancora, lo ha testimoniato il ricorso alla retorica nucleare. L’esercito di Islamabad ha parlato di una riunione del massimo organismo militare e civile che supervisiona l’arsenale nucleare del Paese. Voce poi “corretta” del ministro della Difesa pachistano Khawaja Asif: «Questa cosa di cui avete parlato (l’opzione nucleare) è presente, ma non parliamone: dovremmo trattarla come una possibilità molto remota, non dovremmo nemmeno discuterne nell’immediato”, ha dichiarato». «Se la guerra dovesse intensificarsi – aveva detto a sua volta il ministro della Difesa di Islamabad, Khawaja Muhammad Asif – siamo pronti, e se ci saranno colloqui seri per una de-escalation, siamo pronti».
Quella che si è consumata in una manciata di giorni è stata una pericolosa escalation che ha minacciato di sfondare il perimetro regionale e di allacciarsi al conflitto globale che ha nell’Ucraina il suo epicentro. E che vede nella Cina un «attore» particolarmente interessato. Quello che è in atto è uno scontro tra la tecnologia militare cinese (che arma il Pakistan, che a lungo è stato rifornito anche dagli Usa) e quella occidentale (che arma l’India). Come conferma l'abbattimento tre caccia indiani Rafale (acquistati dalla Francia) nella notte tra il 6 e il 7 maggio, da pare dell'aviazione pachistana. Islamabad è per Pechino una sorta di "fratello corazzato". Negli ultimi cinque anni, la Cina ha fornito l'81% delle armi importate dal Pakistan, secondo i dati dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri). Le esportazioni includono aerei da combattimento avanzati, missili, radar e sistemi di difesa aerea che, secondo gli esperti, svolgerebbero un ruolo cruciale in qualsiasi conflitto militare tra Pakistan e India.

Militari pachistani nella base di Noor Khan - ANSA
Come scrive la Cnn, “in qualità di principale fornitore di armi del Pakistan, è probabile che la Cina stia osservando attentamente quello che accade per scoprire come i suoi sistemi d'arma si sono comportati e potenzialmente si comporteranno in un combattimento reale. Con il Pakistan armato in gran parte dalla Cina e l'India che si rifornisce di oltre la metà delle sue armi dagli Stati Uniti e dai suoi alleati, qualsiasi conflitto tra i due vicini potrebbe di fatto trasformarsi in uno scontro tra le tecnologie militari cinesi e occidentali”.
Secondo Craig Singleton, ricercatore senior presso la Foundation for Defense of Democracies, "il sostegno di lunga data di Pechino a Islamabad – attraverso hardware, addestramento e, ora, un targeting sempre più basato sull'intelligenza artificiale – ha silenziosamente spostato l'equilibrio tattico". "Questo non è più solo uno scontro bilaterale; è un assaggio di come le esportazioni cinesi di difesa stiano rimodellando la deterrenza regionale", ha affermato Alexander Neill, analista di sicurezza citato dalla Reuters. L'International Institute for Strategic Studies osserva che la Cina attualmente dispone di 267 satelliti, di cui 115 dedicati all'intelligence, alla sorveglianza e alla ricognizione e altri 81 che monitorano le informazioni elettroniche e i segnali militari. Si tratta di una rete che surclassa nettamente i suoi rivali regionali, tra cui la stessa l'India.
A intorpidire i rapporti da sempre conflittuali tra Cina e India è poi la guerra commerciale e strategica degli Usa. Un elemento che ha infittito l’ambiguità nelle relazioni tra i due giganti asiatici. È la lettura (interessata) della stampa indiana: “Se la Cina vuole davvero costruire un'alternativa all'architettura finanziaria e commerciale guidata dagli Stati Uniti, attraverso i Brics, ha bisogno dell'India. Senza l'India, qualsiasi tentativo di liberare il commercio globale dall'egemonia statunitense o di riorientare l'ordine monetario mancherebbe di credibilità e di portata. La Russia lo capisce. Anche la Cina. Ecco perché non può permettersi una rottura totale”. Al tempo stesso “Pechino non può permettere che l'ascesa dell'India proceda senza ostacoli. Per la Cina, fare qualcosa o non fare nulla sono entrambi rischiosi”.