sabato 29 maggio 2010
All’una di notte un convoglio partito da Calcutta ha deragliato ed è stato investito da un merci. La rivendicazione, poi smentita.
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L'attentato di ieri a un convoglio ferroviario in un’area isolata dello Stato del Bengala occidentale non è solo uno dei più gravi atti terroristici registrati in anni recenti in India, ma dimostra ancora una volta la capacità operativa della guerriglia maoista. Sono oltre 100 i morti e almeno 160 i feriti mentre ancora ieri sera i soccorritori cercavano di estrarre dalle lamiere accartocciate di 13 vagoni quanti - in vita o cadaveri - vi erano ancora intrappolati in gran numero.Le perizie dei tecnici sembrano aver dimostrato che in precedenza sconosciuti avevano rimosso una porzione di binario, creando i presupposti per il deragliamento. Tuttavia il ministro delle Ferrovie, Mamata Banerjee, ha continuato a sostenere la tesi dell’attentato. Un macchinista, ha riferito lo stesso ministro, avrebbe dichiarato di aver udito un «sordo boato» subito prima dell’incidente mentre gli inquirenti hanno rinvenuto un certo quantitativo di gelatina accanto ai binari.Il personale dell’Ospedale ferroviario di Karagpur, quello più vicino al luogo dell’attentato e dove le vittime sono state trasportate soprattutto in elicottero, è stato letteralmente travolto dall’entità del disastro. «Semplicemente, non avevamo mai visto nulla di simile», ha dichiarato il direttore dell’ospexpress diretto a Mumbai e uscito dai binari all’una e un quarto del mattino, pochi minuti dopo ad essere investito da un merci. Il convoglio si trovava nel distretto di Midnapore occidentale, circa 150 chilometri da Calcutta, stazione di partenza. Un’area considerata roccaforte della ribellione maoista che dagli anni Sessanta conduce con fasi alterne una guerriglia sanguinosa contro il governo centrale. Sui maoisti, conosciuti anche come Naxaliti, si sono subito appuntati i sospetti. A confermarlo un volantino trovato presso i binari e una telefonata al "Press Trust of India", da parte di un personaggio che ha detto di appartenere al "Comitato del popolo contro le atrocità commesse dalla polizia", gruppo associato alla guerriglia naxalita. Si tratta di una organizzazione nata a metà del 2008 e ispirata a quanto risulta dal Partito comunista indiano di tendenza maoista e che aveva indetto per questi giorni una "Black week" (Settimana nera) di protesta antigovernativa. Successivamente, un portavoce del gruppo ha però smentito ogni coinvolgimento. L’incidente di ieri, ultima azione – se confermata la matrice maoista – di quella che qualche tempo fa il primo ministro Manmohan Singh ha indicato come «la maggiore minaccia alla sicurezza interna del Paese» ha già acceso aspre polemiche verso i servizi di sicurezza e inevitabilmente ha aperto un ulteriore dibattito politico. Alla fine dello scorso anno, infatti, l’avvio dell’Operazione Greenhunt sembrava destinata a dare una spallata definitiva alla ribellione d’ispirazione maoista, nata proprio nel Bengala occidentale il 1967 e da allora diffusasi in 20 dei 29 Stati e Territori del Paese, tenendo in ostaggio vaste aree rurali e impegnando duramente le forze di sicurezza. Da allora, bene 60mila uomini tra paramitari e poliziotti sono stati impegnati in una massiccia caccia all’uomo che ha dato pochi risultati ma è costata numerose perdite. Il ministro dell’Interno, in particolare, che si è finora rifiutato di impegnare l’esercito regolare in quella che continua ad essere individuata come una questione di ordine pubblico.
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