martedì 12 gennaio 2010
Non si ferma l’ira degli estremisti dopo il via libera all’uso della parola «Allah» da parte delle altre religioni. Domenica i fedeli hanno riempito i luoghi di culto sfidando le minacce. Da ieri i volontari di 130 Ong musulmane organizzano pattuglie per proteggere gli edifici sacri.
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Non si ferma l’ira islamica e non si fermano gli attacchi incendiari contro chiese cristiane in Malaysia, mentre domenica scorsa le chiese si sono riempite di fedeli che hanno sfidato l’integralismo religioso. Altri tre tentativi di incendio e dissacrazione domenica e uno ieri, quest’ultimo con liquido incendiario gettato all’ingresso di una sede della chiesa evangelica Sidang Injil Borneo, nello Stato Negeri Sambilan, nella parte continentale della Federazione malese. Pochi i danni, ma a preoccupare i cristiani è soprattutto il clima che si è creato attorno a una vicenda che oramai sembrava conclusa. La sentenza della Corte suprema che il 31 dicembre aveva ritenuto legittimo l’uso del vocabolo «Allah» per indicare Dio nell’edizione in lingua malese del quotidiano cattolico The Herald è stata invece impugnata dal governo di Kuala Lumpur dopo che gruppi estremisti musulmani avevano indetto per venerdì scorso manifestazioni di protesta. Il controverso provvedimento, motivato dalla autorità con la necessità di non esacerbare gli animi in attesa del verdetto d’appello, non ha fermato l’ostilità degli integralisti, ma in compenso ha lasciato i cristiani più soli.Le azioni ostili contro i luoghi di culto cristiani sembrano più mosse isolate di fanatici piuttosto che parte di una strategia, ma la loro frequenza e l’impunità degli attentatori inquietano gli stessi musulmani moderati. Al punto che da ieri mattina alle 11 gruppi di volontari appartenenti a una federazione di 130 Ong musulmane progressiste hanno organizzato in alcune aree cittadine del Paese ronde per proteggere gli edifici di culto cristiani e per individuare eventuali malintenzionati.Molti nel Paese sono coscienti che a rischio non è solo l’integrità dei luoghi di culto, ma anche un ideale di convivenza che da tempo è sottoposto a forti pressioni da parte di un radicalismo religioso che, in questo Paese multietnico dove l’islam è praticato dal 55% della popolazione, vorrebbe imporre la legge coranica e il predominio dell’etnia malese sulle minoranze tribale, cinese e indiana. Proprio ieri in Malaysia, nella città meridionale di Johor, si sono aperti i lavori dell’Assemblea della Conferenza episcopale di Malaysia, Singapore e Brunei, che si concluderanno il 15.Immediatamente gli eventi in corso hanno segnato l’avvio della discussione. La Chiesa malese, che si è dichiarata «preoccupata», «non si aspettava – hanno detto i vescovi – che, alla questione dell’uso del termine Allah, seguisse una reazione di tal genere, con attacchi contro chiese ed edifici cristiani». Come ripreso dall’agenzia Fides, secondo i responsabili della Chiesa locale «urge lavorare per il dialogo e l’armonia sociale, disinnescando la conflittualità che gruppi fondamentalisti vogliono accendere nella nazione». L’assemblea dei vescovi era già fissata da tempo ma gli ultimi eventi hanno imposto un cambiamento di agenda per esaminare anzitutto la situazione, che viene definita «preoccupante e delicata». I responsabili della Chiesa malese hanno sottolineato che «sono in corso, e si susseguiranno nei prossimi giorni, incontri con le autorità civili e colloqui con i leader musulmani.Occorre infatti agire in sintonia e cercare la necessaria collaborazione del governo e delle alte autorità religiose per ristabilire un clima pacifico alla società malaysiana». Anche perché – riferisce ancora Fides riportando le voci dei presuli – questi episodi stanno «sporcando» la fama dell’islam malese, noto per la sua moderazione e per volontà di convivere pacificamente con le altre religioni.
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