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Reuters
Il Baltico dopo Vilnius
Acqua e cielo sovrastanti il nord e il centro del Baltico saranno agevolmente interdetti. La Russia sarà più isolata, perché fregate, corvette, missili costieri e siluri alleati, coordinandosi fra loro, significheranno proiezione di potenza, ardua da vincere per una marina avversaria debole come quella russa. L’Air Command Nato si arricchirà inoltre di un nuovo tassello, integrabile nella difesa aerea sinergica dell’Europa.
Una strategia più chiara
Vilnius è stato pure il vertice della realpolitik: il comunicato finale trasuda della minaccia russa e reagisce, prendendo atto delle nuove sfide. C’è un cambio di passo: ci si prepara non solo a guerre convenzionali ad alta intensità, ma alla “lunga intensità”, puntando sulla resistenza logistica, imperniata su nuovi flussi industriali. È stato adottato un piano d’azione sulla «produzione militare per dotarsi di una capacità robusta e longeva». Il primo atto sarà diretto a moltiplicare gli atout delle forze terrestri occidentali, rilanciando le filiere delle munizioni. Si guarda però anche al domani, al multidominio-multicampo, imposto dagli Stati Uniti e già adottato da russi e cinesi, per federare tecnologie di frontiera, ibridità, cyber, spazi immateriali e mezzi classici.
Un punto debole: la rotta verso la Cina
Nonostante la patina edulcorata del comunicato finale, il vertice di Vilnius segna una cesura transatlantica, con una netta divergenza sulla Cina.
Ecco perché la Nato tiene ancora la porta aperta al dialogo, certificando la divisione interalleata. Gli Usa considerano ormai la Cina il nemico prioritario: l’hanno scritto apertamente nella Strategia di sicurezza nazionale dello scorso ottobre. La Russia non viene che dopo. Il pivot in direzione del Pacifico è un processo inarrestabile. Per gli alleati europei vale l’inverso. Ciò non impedisce un coordinamento euro-americano di base. Parigi è stata chiara. Lo ricorda l’ultimo discorso di Macron al Forum Globsec 2023. La Francia continua a rivendicare un pilastro europeo della Nato, sorta di antemurale al pressing americano sulla Cina.
Spese militari in forte crescita
Una buona notizia per un’Alleanza militare, ma un pessimo segnale per il mondo. A Vilnius, la Nato ha rinnovato il Defence investment pledge adottato nel 2014: investirà di più nei bilanci militari. Il 2% della ricchezza nazionale da destinare in armi sarà ormai una base di partenza da cui muovere, un minimo comun denominatore da moltiplicare.
Tradotto in soldoni: non basteranno più i 1.232 miliardi di dollari spesi dagli alleati l’anno scorso per gli eserciti. L’Alleanza ha ribadito anche la sua fedeltà alle armi nucleari, ritenendole l’unico deterrente serio agli arsenali cinesi, russi e nordcoreani, tutti in crescita. Paventando la nuclearizzazione strisciante dell’Iran, ha sparato pure nuove bordate contro il Trattato di interdizione completa delle armi atomiche.
Niente membership per l’Ucraina
Siccome la Nato non ha potuto fornire una data precisa per l’ingresso di Kiev nell’alleanza, Zelensky ha reagito bruscamente. Un suo tweet ha mandato su tutte le furie la delegazione Usa.
Tedeschi e francesi non l’hanno presa meglio.
Accortosi del danno fatto, il presidente ucraino ha corretto il tiro, per non alienarsi il vitale supporto occidentale. L’avvenire dei flussi di armi è già minacciato dalla spada di Damocle dell’elezione presidenziale Usa del 2024. Meglio non inimicarsi ulteriormente l’alleato statunitense e non indisporre già da ora il futuro inquilino della Casa Bianca. Buona parte dei think tank Usa, molto influenti, rema da tempo contro Kiev, ritenendo il conflitto con la Russia una fastidiosa distrazione dalle priorità imposte dalla Cina.