martedì 1 dicembre 2009
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«Una reazione sbagliata, una risposta su­perficiale ed emotiva che rischia d’in­nescare un corto circuito molto peri­coloso ». È netto il giudizio di monsignor Pier Giaco­mo Grampa, vescovo di Lugano e responsabile della Conferenza episcopale svizzera per i rapporti con l’i­slam, sull’esito del referendum che ha detto no ai mi­nareti nella Confederazione Elvetica. Eccellenza, c’è chi nel voto popolare ha visto la dife­sa, sia pure un po’ rozza, dell’identità cristiana e del­la civiltà europea... Mi piacerebbe che fosse così. Certo, non escludo che in qualche elettore abbia giocato questo tipo di moti­vazione. In generale però il voto è stato il frutto della paura, dell’ostilità e dell’incapacità d’accogliere il di­verso. Penso che la maggioranza di chi ha detto no ai minareti non lo abbia fatto per difendere l’identità cri­stiana ma per blindare il proprio egoismo. Non è il il sintomo di una forte identità ma di una coscienza fra­gile che teme il confronto interculturale cui l’intera Europa è chiamata in questo momento storico. Non crede che anche molti cattolici si siano espressi per il divieto dei minareti? Sì, indubbiamente. Purtroppo anche molti di loro han­no pensato di risolvere il problema dell’islam con un Verboten, con delle proibizioni. Si sono dimenticati che per 150 anni i cattolici in questo Paese hanno do­vuto subìre tre articoli costituzionali che hanno forte­mente impedito l’attività della Chiesa. Ma noi abbia­mo bisogno d’affermare una laicità positiva, non una chiusura ed una grettezza che conduce a derive peri­colose in tema di libertà religiosa. Contro i minareti, certo. Ma anche con­tro i crocifissi nei luo­ghi pubblici. Qualcuno ha osser­vato però che il mi­nareto non è un sim­bolo religioso ma un segno di conquista e di dominio... No, non è così. Il mi­nareto è semplice­mente il segno di una tradizione. Chi se la prende con quel simbolo sbaglia clamorosamente obiettivo. Cosa intende dire? Il vero problema non è il minareto ma la moschea, quel che si predica e s’insegna lì dentro. Io condivido le preoccupazioni per l’islamismo radicale e aggres­sivo e per il fanatismo di certi imam. Ma è appunto su questo che va tenuta alta la sorveglianza. Impedire la costruzione di un minareto è fin troppo facile. Ma è anche contro-producente: dentro la moschea crescerà l’integralismo. Che conseguenze avrà il voto di domenica? I leader musulmani hanno subito reagito con grande disappunto: non s’aspettavano che un Paese di gran­de civiltà e di rispetto delle minoranze imboccasse questa strada. Potrebbe nascere un partito islamico in Svizzera. Ma il problema ovviamente non riguarda solo la nostra Confederazione. Temo ritorsioni all’e­stero. Già in molti Paesi islamici la presenza dei cristiani è sottoposta a pesanti limitazioni ed anche a perse­cuzioni. Abbiamo sempre invocato il principio di re­ciprocità. Ma sarebbe assurdo farlo valere in modo in­verso: siccome voi, Paesi islamici, non rispettate la li­bertà religiosa allora anche noi diventiamo intolle­ranti! E adesso cosa pensate di fare? Prima di tutto dobbiamo ricordare che sia le autorità politiche, sia il parlamento, sia le Chiese non voleva­no un simile risultato. Da parte nostra ribadiamo che il dialogo inter-religioso con l’islam va avanti. Anche se non ci nascondiamo che è diventato più difficile.
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