giovedì 20 agosto 2009
I palazzi governativi investiti in pieno dalle esplosioni nell’area più blindata della capitale. Il bilancio degli agguati è stato aggravato dal crollo di un viadotto che costeggiava uno degli edifici. L’ospedale costretto a chiudere il pronto soccorso: «Non abbiamo più posto per le persone da curare»
COMMENTA E CONDIVIDI
Decine di cadaveri, centinaia di feriti, tanto che il principale ospedale di Baghdad è sta­to costretto a chiudere le porte del pronto soccorso: «Perché non più in grado di ricevere altre vittime degli attentati», riferiva nella sua cronaca un giornalista iracheno della televisione al-Arabiya. Una cifra assurda – almeno 95 morti, oltre cento per altre fonti, e più di 550 feriti – di un bilancio provvi­sorio che, probabilmente, non avrà mai una certez­za, per via che molti corpi sono stati dilaniati, resi ir­riconoscibili. Numeri pesanti, ma che sono destina­ti a salire perché sono «tanti i feriti in condizioni di­sperate ». Nessuna sorpresa per gli iracheni, «qualche giorno di tregua e poi la violenza, la strategia del terrore, tor­na a colpire», commentano a Baghdad. Con una si­nistra coincidenza con la vigilia del voto afghano. È l’anticamera di sangue – evidenziano gli analisti – di una strategia che accompagnerà la vita dell’Iraq fi­no alle prossime elezioni politiche del gennaio 2010. Ma anche l’ulteriore dimostrazione di una ancora lontana immagine di un Paese sulla via della nor­malizzazione sei anni dopo la guerra di George W. Bu­sh. Quella di ieri è una giornata da dimenticare, se non fosse per l’ennesimo, ma più grave fra tutti, carnaio di vittime provocato da due pesanti attentati che hanno aggiornato al rialzo i bollettini del bagno di sangue in cui da anni è immerso il Paese. Un doppio attacco seguito da colpi di mortaio, contro obiettivi governativi, importanti, quindi che si suppone do­vevano essere superprotetti da posti di controllo, ma che, invece, si sono dimostrati facilmente raggiun­gibili da due camion bomba. Tanto da far sorgere più di un sospetto in qualche complicità tra settori del­la sicurezza e chi ha progettato i nuovi attacchi. I due ministeri, quello delle Finanze e degli Esteri, so­no dislocati nel centro residenziale della capitale i­rachena, proprio a ridosso della «zona verde». Quel­la vasta area, al di là del fiume Tigri, che un tempo e- ra la residenza presidenziale di Saddam Hussein, og­gi circondata e protetta da alte mura di cemento ar­mato anti-bomba, dove hanno sede il governo ira­cheno, come quasi tutte le rappresentanze diplo­matiche straniere. Dunque la parte più blindata di Baghdad, dentro alla quale, dal 30 giugno scorso, an­che il comando americano in Iraq ha fatto conver­gere le proprie truppe, dopo avere riconsegnato il Paese e la sua sicurezza al legittimo governo. Mancavano 15 minuti alle 11, quando una potente esplosione ha investito il ministero delle Finanze, tanto potente da provocare il crollo di un lungo trat­to di un viadotto che costeggia l’edificio. Molte del­le vittime viaggiavano a bordo di auto cadute nel vuoto, mentre altre sono state investite da schegge e crolli all’interno del ministero. Pochi minuti dopo è esploso il secondo camion riem­pito di esplosivo, davanti al ministero degli Esteri. Il palazzo è stato investito in pieno dall’esplosione. La maggior parte delle vittime sono dipendenti mini­steriali. Dall’inizio dell’anno, in Iraq c’è stata una recrude­scenza della violenza stragista. E quello di ieri è con­siderata la giornata di sangue più grave, da quando il 24 giugno 62 persone rimasero uccise nel sobbor­go sciita di Sadr city, alle porte della capitale. Secon­do il portavoce del comando delle operazioni di si­curezza a Baghdad, generale Qassim Atta, la re­sponsabilità degli attacchi è da attribuirsi al sodali­zio tra al-Qaeda e nostalgici del partito Baath, del re­gime di Saddam Hussein. Una scia di sangue di cui il governo iracheno è con­sapevole, secondo quanto più volte ha affermato il premier Nouri al Maliki, il quale prevede una im­pennata degli attacchi proprio in vista delle delica­te elezioni di gennaio e che ora parla di una «revi­sione » degli standard di sicurezza. Un appuntamento elettorale considerato essenzia­le per una svolta decisiva, che sia in grado di supe­rare le divisioni tra sciiti e sunniti, la violenza setta­ria, la corruzione, ma soprattutto i veleni tra passa­to e futuro.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: