sabato 27 giugno 2015
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Europa, Asia, Africa. A tre giorni dal primo anniversario dell’annuncio della «fondazione» del califfato tra Siria e Iraq guidato da Abu Bakr al-Baghdadi, lo Stato islamico ha lasciato ieri una drammatica scia di sangue in tre diversi continenti, sollevando nuove preoccupazioni soprattutto sulla sua capacità di influenzare il terrorismo islamista. Perché se non è affatto detto che dietro agli attacchi in Francia, Kuwait e Tunisia ci sia la stessa mano, se l’organizzazione degli attentati è più probabilmente lasciata ai singoli sul territorio, la strategia di fondo, la regia, potrebbe essere unica.  I tre attacchi sono arrivati a pochissime ore di distanza l’uno dall’altro e a pochi giorni dall’ultimo appello alle armi del gruppo islamista, che aveva invocato nuovi attentati da compiersi proprio nel sacro mese islamico del Ramadan. Il parallelismo più immediato è quello con gli attacchi multipli e simultanei di al-Qaeda, ha sottolineato ieri anche l’esperto di antiterrorismo americano Bruce Riedel, ma nemmeno l’organizzazione di Osama Benladen era riuscita a colpire nello stesso momento in tre punti così lontani tra loro, e peraltro con modalità così diverse.  La rapida successione degli attentati fa pensare che lo Stato islamico – che controlla militarmente ampie porzioni di Iraq e Siria – ha ormai «ispirato» con successo, anche grazie alla sua attenzione per media e social network, simpatizzanti in grado di pianificare e portare a segno azioni di sangue nei loro Paesi. Era successo nelle 48 ore di terrore vissute a Parigi, con la strage alla rivista Charlie Hebdo e quella al supermercato kosher di Porte de Vincennes. E’ successo di nuovo ieri, e si attende che le indagini possano rivelare maggiori dettagli sui tre attentati. Preoccupa, in particolare, l’attacco a Kuwait City, rivendicato direttamente dallo Stato islamico, con un kamikaze che si è fatto saltare in aria nel venerdì di preghiera in una moschea sciita provocando 27 morti e oltre 200 feriti. Preoccupa perché è la prima operazione di questo tipo dello Stato islamico nel Paese del Golfo. Salirà sicuramente l’allarme nella regione, a partire da quell’Arabia Saudita già impegnata da mesi a guidare in Yemen i raid aerei di una coalizione internazionale contro gli islamisti di al-Qaeda.  Il Kuwait è rimasto finora largamente al riparo dal caos regionale e le tensioni tra sciiti e sunniti non sono affatto comuni nel Paese. L’assalto di ieri ha però fatto tornare alla mente altri attentati analoghi compiuti in alcune moschee sciite nella stessa Arabia Saudita, attentati che hanno indotto molti analisti a credere che lo Stato islamico stia cercando di incitare una guerra settaria tra sunniti e sciiti. Nella rivendicazione di ieri sui social network, la stessa organizzazione terroristica ha definito l’attentatore suicida di Kuwait City «uno dei cavalieri del popolo sunnita».  Se insomma gli attacchi in Francia e in Tunisia potrebbero avere come obiettivo quello di instillare la paura nei Paesi occidentali, oltre che di porre ulteriormente l’Is alla testa dell’internazionale jihadista, quanto accaduto in Kuwait appare più strumentale alla strategia «regionale» dello Stato islamico. A Tunisi nel mirino è finito nuovamente il turismo straniero, ad appena tre mesi dalla strage al museo del Bardo che già aveva ridotto gli arrivi nel Paese fiaccando l’economia nazionale. Il presidente Beji Caid Essebsi ha sollecitato «una strategia globale» contro il terrorismo islamico, sottolineando la contemporaneità dei tre attentati di ieri. Sulla spiaggia di Sousse sono morti in 37, in gran parte occidentali, ospiti di due resort della zona. Sono stati falciati a colpi di kalashnikov nascosti sotto braccio dagli ombrelloni. «In questo momento non possiamo creare connessioni, ma il terrorismo colpisce ovunque», ha osservato da parte sua il presidente francese François Hollande. Quanto accaduto nel dipartimento dell’Isere è mediaticamente devastante: un uomo senza precedenti penali, Yassine Salhi, è sospettato di aver fatto esplodere alcune bombole di gas e, prima di essere fermato, di aver realizzato una drammatica messa in scena jihadista. Il corpo decapitato del suo datore di lavoro, i brandelli di tessuto con iscrizioni in arabo, un drappo identificato come una possibile bandiera dello Stato islamico: tutto farebbe pensare a quello che viene definito dagli esperti come il terrorista insospettabile della porta accanto. C’è tanto, però da indagare, soprattutto per verificare se la messa in scena fosse eterodiretta da una lontana regia, in coordinamento appunto con quanto accaduto a Tunisi e Kuwait City. Hollande per ora ha escluso legami specifici, sostenendo che l’unico tratto comune è che si è trattato di atti terroristici. Se così non fosse, però, se l’intelligence ricaverà ulteriori informazioni su un ordine di colpire giunto dall’estero, il salto di qualità compiuto dallo Stato islamico sarebbe definitivamente confermato.
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