lunedì 27 maggio 2024
Nel 1994 la fine dell’apartheid. Le elezioni legislative di mercoledì potrebbero sancire per la prima volta la necessità d'un governo di coalizione. Viaggio nel Paese dei divari e della criminalità
Un cartello elettorale sulla strada che taglia in due la bidonville di Alexandra a Johannesburg:in queste elezioni il potere dell’African national congress è in dubbio

Un cartello elettorale sulla strada che taglia in due la bidonville di Alexandra a Johannesburg:in queste elezioni il potere dell’African national congress è in dubbio - Ansa

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C’era Mandela e c’era la libertà, dopo decenni di soffocante apartheid che avevano ridotto il Sudafrica al rango di paria a livello internazionale. Oggi, a trent’anni esatti dalle storiche prime elezioni libere del 1994, l’African national congress, il partito che fu di Madiba, rischia per la prima volta di non avere più la maggioranza nella “nazione arcobaleno”. Nessuno osa pensare che l’Anc non sarà anche stavolta, con ampio vantaggio, il primo partito del Paese. Eppure, quella soglia del 50% più uno dei voti rischia di essere lontana dall’obiettivo della formazione guidata dal presidente Cyril Ramaphosa, che cerca la riconferma nelle elezioni legislative di mercoledì prossimo.

I sudafricani non votano direttamente il presidente, ma una batosta per l’Anc si tradurrebbe quasi automaticamente in un addio a Ramaphosa, che deve sperare in un mezzo miracolo per non essere disarcionato, a sei anni dal suo avvento al potere, dal nuovo Parlamento che uscirà dalle urne. Nel Paese numero uno al mondo per le disuguaglianze e con un tasso di disoccupazione al 32,9%, il più alto al mondo, la disillusione verso le politiche attuate dall’Anc in tre decenni segnati da scandali di corruzione e inefficienza dei servizi pubblici ha dominato la campagna elettorale. Difficile, secondo i sondaggi della vigilia, che il partito oggi al governo vada oltre il 40%, un risultato che costringerebbe la formazione un tempo guidata da Mandela ad inediti accordi di coalizione per continuare a governare.

Il dilemma, però, è capire con chi l’Anc, che nel 2019 aveva ottenuto il 57,5% dei voti, potrebbe allearsi nel caso in cui il tracollo si materializzasse. John Steenhuisen, leader del principale partito di opposizione, la centrista Democratic Alliance (Da), ha promesso di “salvare” il Sudafrica dalla malagestione dell’Anc, ma i suoi consensi si aggirano intorno al 25% e difficilmente contenderà all’African national congress il primo posto. Steenhuisen sconta peraltro il fatto di essere l’unico leader bianco del panorama politico sudafricano, in un Paese in cui la questione della razza pesa ancora nella coscienza nazionale e in cui l’80 per cento della maggioranza nera vede la Democratic Alliance come espressione degli interessi dei privilegiati bianchi. Come terza forza, nei sondaggi, vengono accreditati gli Economic Freedom Fighters di Julius Malema, ex leader giovanile dell’Anc espulso dal partito un decennio fa. Il suo messaggio radicale, che punta sulla nazionalizzazione delle miniere e la ridistribuzione delle terre ai neri, ne ha fatto un simbolo in alcune fasce sociali, ma il dialogo con l’Anc sarebbe complicato. A prosciugare un po’ di consensi al partito di Ramaphosa sarà anche l’Mk party, la formazione populista dell’ex presidente 81enne Jacob Zuma, accreditato di circa il 10% dei voti e tornato in sella nonostante mille scandali e una condanna, poi condonata, a 15 mesi di carcere.

Per provare a recuperare consensi, nei giorni scorsi Rampahosa ha firmato, dopo quasi un decennio di intenso dibattito sul tema, la legge che introduce la copertura sanitaria universale, in un Paese di 62 milioni di abitanti in cui il solco tra chi ha accesso a cure adeguate nel settore privato e chi non può permettersi nemmeno servizi di base è andato via via allargandosi, nonostante il Sudafrica sia l’economia più avanzata del continente africano. Gli ospedali pubblici sono sovraffollati e mancano di risorse e personale, mentre le opposizioni e organizzazioni imprenditoriali e sanitarie chiedono chiarezza sul finanziamento del sistema.
Secondo un sondaggio Afrobarometer del 2023, l’idea che «la democrazia è preferibile a qualsiasi altra forma di governo» oggi convince solo il 40% dei sudafricani, mentre nel 2011 era il 70% a dirsi convinto di quest’assunto. Il sostegno per la democrazia, dopo tre decenni di libertà, è andato insomma indebolendosi, mentre l’epopea della lotta contro la segregazione razziale su cui l’Anc ha da sempre costruito la sua narrazione politica fa sempre meno presa.

I tassi di criminalità, favoriti dall’emarginazione di ampie fasce sociali, sono tra i più alti al mondo, con 47 omicidi ogni 100mila abitanti, un tasso sei volte maggiore rispetto a quello degli Stati Uniti. E la mancanza di opportunità e lavoro fa aumentare anche il consumo di alcool tra i giovani, in un Paese in cui l’età mediana è di 27 anni. Nelle township ribolle il malcontento, mentre il sogno di Madiba e di un’intera generazione di sudafricani rischia di andare definitivamente in frantumi.

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