sabato 18 novembre 2023
Il premier è sempre più sotto attacco dei politici e dei militari. Ricerche di università e quotidiani fanno immaginare una fine poco gloriosa per il protagonista della scena degli ultimi 25 anni
Il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu

Il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu - Ansa

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Meno del 4 per cento di ebrei israeliani lo giudica «affidabile». Questo l'imbarazzante risultato di un recente sondaggio relativo al primo ministro Benjamin Netanyahu e realizzato dall'Università Bar Ilan. Il comune denominatore dei sondaggi, realizzati in queste settimane in Israele, preannuncia una conclusione poco gloriosa della carriera politica di colui ha dominato, sia come premier sia come capo dell'opposizione, la scena interna israeliana negli ultimi venticinque anni. Secondo l'inchiesta, la «credibilità» di Netanyahu come fonte di informazione è quasi nulla per l'opinione pubblica, che privilegia con il 73,7 per cento Daniel Hagari, il portavoce dello Tsahal. Una caduta libera che affossa ulteriormente l'immagine del premier uscita da un primissimo sondaggio realizzato da “Dialog Center” il 12 ottobre scorso, ossia a pochi giorni dall'attacco di Hamas, secondo il quale l'86 per cento degli israeliani ritiene il governo di Netanyahu responsabile delle falle in materia di sicurezza constatate il 7 ottobre, mentre il 56 per cento degli intervistati giudica necessarie le dimissioni del premier a guerra terminata.

Il colpo di grazia per l'attuale premier è arrivato ieri con uno studio con cui il quotidiano Maariv ha indagato sulle intenzioni di voto degli israeliani se si andasse oggi alle elezioni. Il Likud di Netanyahu, sostiene Maariv, assisterebbe a un drastico calo dagli attuali 32 seggi che occupa attualmente alla Knesset a soli 17, mentre l'Unità nazionale guidata dall’ex capo di Stato maggiore Benny Gantz conquisterebbe 30 seggi in più, passando dagli attuali 12 seggi a ben 42. Un brutto segnale per Netanyahu che deve vedersela non solo con un rivale che siede con lui al Gabinetto di guerra ristretto, ma pure con i venti di fronda nel suo stesso partito. L'ultima a esprimere sentimenti di delusione nei confronti di “Bibi” è stata Galit Distal Atbaryan, che il 12 ottobre si è dimessa da ministro dell'Informazione, sentendosi superflua in quella veste. «Provo una collera enorme nei suoi confronti. mi brucia dentro», ha sbottato Atbaryan in uno scambio di messaggi su Whatsapp che doveva restare privato e che è invece rimbalzato con clamore sui social. «È da mesi che fremo nei suoi confronti, ha scritto ancora Atbaryan, perché ha consentito a quei mostri (Hezbollah e Hamas, ndr) di prosperare durante i suoi governi, a nord e a sud. E dire che si presentava come Mister Sicurezza». Contestato nelle strade, indebolito nei sondaggi, Bibi fa comunque l'orecchio da mercante alla richiesta di Yair Lapid, leader di Yesh Atid, di cedere la sua carica a un'altra figura del Likud per un esecutivo concentrato solo sulla conduzione della guerra.

L'isolamento di Netanyahu è percepito persino all'interno del Gabinetto ristretto, con tre generali (oltre a Gantz e l'ex capo di stato maggiore Gadi Eisenkot, eletti in quota opposizione, anche il ministro della Difesa Yoav Gallant) che contestano continuamente le dichiarazioni del loro capo. Le Monde non ha esistato di recente ad affermare che i suddetti generali, vestiti sempre di nero, «vogliono essere una barriera di contenimento, un guardrail, attorno al primo ministro». A Netanyahu rimane da fidarsi solo del quinto e ultimo membro del Gabinetto, il suo “alter ego” Ron Dermer che l'accompagna dal 2000. Che non è certo una garanzia. Nato in Florida, Dermer è incaricato dei rapporti con l'amministrazione americana. Se non fosse che le sue simpatie vanno tutte al partito repubblicano e all'ex presidente Donald Trump, che aveva convinto a ritirarsi dall'accordo nucleare con l'Iran. Gli sbandamenti sono solo dietro l'angolo.

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