domenica 18 ottobre 2009
Il presule di Tombura-Yambio parla dei raid del Lord’s Resistance Army e rivela un altro attacco seguito al primo eccidio di agosto. «Nei villaggi sterminano chi tenta di opporsi: bimbi e anziani bruciati vivi nelle case. E rapiscono i piccoli per indottrinarli».
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    Sette il 13 agosto. Sei il 16. Cristiani crocifissi nei più efferati degli attacchi sistematicamente portati dai ribelli che impestano il Sud Sudan. Tragedia nella tragedia di cui, al Sinodo dei vescovi sull’Africa, s’è fatto voce monsignor Edward Hiiboro Kussala, vescovo di Tombura-Yambio, chiedendo, come ribadisce in questa intervista ad Avvenire, che l’Europa e tutta la Comunità internazionale «torni a guardare al nostro Paese, intervenga per porre fine a una situazione che non si può più sostenere».Lei ha denunciato l’«insopportabile livello di violenza» che colpisce il Sud Sudan attraverso il Lord’s Resistance Army. Di che cosa stiamo parlando?Tra i molti problemi che abbiamo, c’è questo molto grande dei ribelli che provengono dal Nord Uganda, e che si trovano al confine con Sudan, Repubblica centroafricana e Repubblica democratica del Congo. Stanno nelle foreste di questa zona da quattro anni; attaccano i villaggi, uccidono sul posto quelli che fanno resistenza, uccidono gli anziani o li bruciano nella loro case, e prendono le persone più giovani, i bambini, ragazzi e ragazze, per indottrinarli, cambiare il loro modo di pensare. Una tragedia che dura, come ho detto, da quattro anni, e della quale come Chiesa abbiamo parlato molte volte, chiedendo interventi per arrivare alla pace.Violenza che colpisce anche i cristiani.Certo. Il 13 agosto è avvenuto l’episodio più grave: i ribelli hanno attaccato una mia parrocchia, dove si stavano preparando per la festa dell’Assunzione. Hanno preso diciassette persone e ne hanno crocifisse sette, mentre dieci le hanno rapite. Il giorno successivo quelli che hanno scoperto cosa fosse accaduto si sono trovati di fronte uno spettacolo terribile. Tre giorni, dopo nella parrocchia di Nzara, è accaduta la stessa cosa: hanno preso dodici persone, e sei sono state crocifisse. Noi per primi ci domandiamo: perché questa cosa? Perché questo attacco alle chiese? Le incendiano, le colpiscono in tutti i modi. Io non so la risposta. Ma le domande sono tante. E poi chi li aiuta? E perché? Hanno armi nuove, vestiti nuovi, e sono ben organizzati...Che origine hanno questi gruppi?Questo è un qualcosa difficile da definire, anche perché negli anni qualcosa è cambiato. In origine erano ugandesi, però in questi anni hanno preso gente dal Sudan, dal Congo, dalla Repubblica Centroafricana. Il loro “leader” era un cristiano, e così i suoi comandanti, alcuni dei quali si dice abbiano avuto una formazione militare in Afghanistan. Se abbiano ancora contatti laggiù, o legami con al-Qaeda, non si sa; c’è forse un qualche legame con l’islam. Si può dire che credono in un “qualcosa”, che però non si capisce. All’inizio dicevano «vogliamo educare l’Uganda ai dieci comandamenti di Dio», ma quello che fanno non ha niente a che fare coi comandamenti.Un gruppo non definibile, insomma, neppure nei suoi obiettiviÈ così. E, soprattutto, perché fanno quel che fanno? Non lo capiamo. C’è però da dire che, dopo che nel 2005 fu firmata la pace, l’Europa e la Comunità internazionale avrebbero dovuto seguire questo processo. Invece si sono rivolti verso altre situazioni, e ci hanno lasciato soli nel momento più delicato. Abbiamo ricevuti aiuti dalla Conferenza episcopale italiana, che ha costruito due scuole, e alla fine dello scorso anno ci ha inviato sostegni alimentari per tre villaggi; e poi qualcosa è arrivato dall’Aiuto alla Chiesa che soffre. Ma per il resto siamo soli.
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