giovedì 8 aprile 2010
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La più orientale tra le repubbliche asiatiche nate dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, il Kirghizistan, la seconda nazione più povera della regione. Eppure il piccolo Paese montagnoso, poco più di 5 milioni di abitanti nel cuore dell’Asia Centrale, è posto sull’asse verso l’Afghanistan, avamposto strategico per l’Occidente e in particolare per la campagna americana contro i taleban. Non a caso Washington finanziò la rivolta popolare che, nel marzo 2005, ha rovesciato il corrotto regime di Askar Akayev e portò al potere con la «rivoluzione dei tulipani», uno dei leader dell’opposizione, Kourmanbek Bakiyev. Ma cinque anni sono bastati a decretare il fallimento delle aspirazioni democratiche del Paese. Accusato di reprimere duramente gli oppositori politici e alimentare la corruzione, Bakiyev ha instaurato un regime nepotistico che ha portato la famiglia presidenziale in tutti i gangli vitali del potere statale.Il Kirghizistan si trova in una zona chiave per frenare l’aumento della militanza islamica in Asia centrale. Dalla base americana di Manas, vicino alla capitale Bishkek, transitano i soldati e le attrezzature verso Kabul e Kandahar. Manas è stata creata alla fine del 2001, all’inizio della guerra in Afghanistan, dopo gli attentati dell’11 settembre. Ma garantirne l’esistenza non è stato facile: solo nei primi mesi del 2009, Bakiyev ha rinunciato a chiudere la base in cambio della triplicazione del canone di locazione pagato da Washington. A Manas transitano mensilmente 35mila soldati, quasi un terzo in più di sei mesi fa. Il «corridoio», lungo 1.500 chilometri è molto più sicuro della strada attraverso il passo Khyber in Pakistan. Sullo sfondo, gli sforzi di Mosca per ristabilire la sua influenza su una zona tradizionalmente soggetta alla Russia; e la Cina interessata a creare una zona-cuscinetto per bloccare i militanti islamici dall’Afghanistan.
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