lunedì 23 ottobre 2023
Dalla conferenza di Liverpool, il leader Stormer è uscito con l’investitura di sfidante dei Tory in caduta libera nei sondaggi per il voto del 2024. Anche se non piace alla base popolare del partito
Il leader dei laburisti britannico: Keir Starmer

Il leader dei laburisti britannico: Keir Starmer - Reuters

COMMENTA E CONDIVIDI

«Stiamo tornando». È il leitmotiv che ha fatto da sottofondo alla conferenza annuale dei laburisti britannici che si è conclusa la scorsa settimana a Liverpool. Dopo 13 anni di governo conservatore, alle elezioni generali l’anno prossimo la sinistra d’Oltremanica potrebbe tornare alla guida del Regno Unito. A dirlo non sono solo i sondaggi o la doppietta di vittorie nelle suppletive dell’altro ieri. L’aria che si respira tra i padiglioni dell’arena che ha fatto da cornice alla kermesse vibra di energia nuova. I delegati sono stati più di 18mila.
Si sono contesi i posti a sedere, i selfie e le strette di mano con i dirigenti impegnati a fare gli onori di casa nel maestoso m impianto. Neppure Tony Blair, il leader che ha firmato i più grandi successi elettorali del partito, dicono i veterani, è mai riuscito a chiamarne a raccolta così tanti.
«Lo sentite il profumo della vittoria?» Così Nesil Caliskan, capo della rete dei governi locali a trazione laburista, infiamma l’auditorium stracolmo di sindaci e consiglieri. «Respirate a pieni polmoni quest’aria – ha incoraggiato – e mettiamoci al lavoro. Ci aspettano mesi difficili». L’ordine di scuderia arrivato dai vertici del partito è di non dare la presa di Downing Street per scontata. Ma per molti è difficile contenere l’orgoglio di sentirsi dalla parte giusta della Storia. Anche le aziende sono corse a cercare un posto sul carro del vincitore che verrà. Tra i 165 stand nello spazio espositivo dell’ex King’s Dock si notavano quelli di “big” come Google, Barclay, Sos Group, Mastercard. Qasi invisibili quelli delle associazioni tra cui anche “Dignity in Dying” e “My death, my decision”, due movimenti a supporto dell’eutanasia.

Il vertice dei laburisti seduto in prima fila alla Conferenza del partito di Liverpool: il trampolino di lancio per il voto per le elezioni politiche dell’anno prossimo in Gran Bretagna

Il vertice dei laburisti seduto in prima fila alla Conferenza del partito di Liverpool: il trampolino di lancio per il voto per le elezioni politiche dell’anno prossimo in Gran Bretagna - Ansa

A Liverpool ha voluto esserci persino Deliveroo, una delle aziende simbolo della “gig economy”, che ha organizzato un evento sul lavoro, “buono e cattivo”, senza tuttavia coinvolgere i rappresentanti dell’esercito di fattorini in motorino. Quasi ha sorpreso l’aplomb formale della gente che sgomitava per entrare nella sale adibite ai discorsi dei ministri, oggi “ombra”, che, l’anno prossimo, potrebbero sedere al tavolo dell’esecutivo. Qualcuno inganna l’attesa discutendo con il vicino la trovata “Lgbt friendly” delle toilette «per tutti», senza alcuna distinzione di sesso, allestite nell’arena. Altri si sono persi nella consultazione della guida alla manifestazione distribuita all’ingresso. Un “mattone” di duecento pagine in carta patinata a cui fa da copertina una foto del leader Keir Starmer. La frase scelta a perfezionarne la grafica, «ci piacevi prima che diventasse di tendenza», dice molto della sua legnosa leadership.

La stella dell’ex magistrato, è noto, non brilla come dovrebbe. Il discorso tenuto martedì scorso è stato definito come il migliore della sua carriera politica. Rimasto in maniche di camicia dopo l’attacco ai brillantini di un ambientalista piombato sul palco mentre parlava, ha fatto incetta di applausi promettendo: «Ciò che è rotto può essere riparato». Ha annunciato «un decennio di rinascita nazionale», «un Paese forte, stabile e sicuro». Ma quanti, ci si chiede, avranno apprezzato un’arringa molto curata ma, a dirlo sono i suoi stessi collaboratori, a tratti noiosa?
Per avere una risposta basta forse prendere un treno e allontanarsi dalla convention della sinistra in giacca e cravatta. Workington, nel nordovest dell’Inghilterra, è una di quelle città che fino alle elezioni del 2019 formavano il cosiddetto “muro rosso”. L’inespugnabile fortezza dei laburisti. Nell’immaginario popolare è il simbolo della classe operaia che ha fatto la storia dell’industria del carbone e dell’acciaio «made in Cumbria» esportato in tutto il mondo fino agli anni ’80. Il modello che ha rappresentato per generazioni è quello del “Workington man”, dell’uomo che muove il Paese con il lavoro, sempre in coppia con “Stevanege woman”, e che non vota mai a destra. È qui, come a Sedgefield e Blyth Valley, che quattro anni fa il leader dei conservatori, Boris Johnson, fece il “miracolo”. Michael, 58 anni, fuma una sigaretta all’ingresso del Vivian’s bar dove, alle tre di un sabato pomeriggio, è già l’ora del karaoke. «Voterò Labour», dichiara convinto. Poi, quasi imbarazzato, aggiunge: «Starmer però non mi piace per niente. Non sta di certo dalla parte dei lavoratori». L’uomo punta il dito contro il diktat imposto ai suoi deputati durante gli scioperi dei mesi scorsi. «È inaccettabile – spiega – avergli proibito di partecipare ai picchetti dei sindacati, ma quale sinistra rappresenta?». È difficile trovare da queste parti qualcuno capace di slanci verso il numero uno dei laburisti. Chris, 60 anni, bracciante agricolo, si limita a sottolineare: «È perlomeno un uomo integro. Lo voterò. Anche perché non ho altre alternative».

Workington, 25mila abitanti, il sabato pomeriggio: il deserto

Workington, 25mila abitanti, il sabato pomeriggio: il deserto - undefined

​L’aria che si respira tra le strade del centro in una giornata di sabato d’autunno, neppure troppo uggiosa, racconta di una comunità distante anni luce da quella “glitterata” di Liverpool o di Londra. I negozi del centro commerciale di piazza Washington, fiore all’occhiello di un piano per il rilancio della zona, sono, letteralmente, deserti. L’unico viavai che si intercetta a Oxford Street, la strada che si fa largo tra le case basse, rifinite con il cemento spruzzato sulle pareti, porta ai pub. La sala del Wetherspoons, allestito in un teatro del 1920, è stracolma di adulti (pochissimi i giovani) a chiacchierare dinanzi a una birra. La cittadina che negli anni ’30 aveva tre stazioni si trova oggi in una delle aree più depresse del Regno Unito. Alti sono i livelli di disoccupazione. La gran parte delle famiglie vive di sussidi. È così da quando le industrie, sacrificate dal “thatcherismo” all’altare della modernizzazione, hanno chiuso definitivamente i battenti. La riflessione sui limiti della sinistra, sul centrismo con cui Starmer ha ripulito il partito dall’ideologia del predecessore, Jeremy Corbyn, qui, è legata a doppio filo alla Brexit. James, elettricista, è tra quelli che nel 2016 ha votato per il divorzio dall’Europa e che, tre anni dopo, ha sostenuto l’avanzata dei Tory verso il muro rosso.
«Sono venuti a raccontarci – ricorda – che senza gli europei in casa saremmo stati meglio, che avremmo avuto più opportunità, lavoro, servizi». Invece «è stato un disastro».
L’uomo, padre di due figli, non trattiene la rabbia: «Nulla è cambiato. Ci hanno illuso e deluso. Non credo che qualcuno, qui, voterà di nuovo per i conservatori».
A confermare le previsioni di James è Dale Campbell-Savours, 80 anni, oggi membro della Camera dei Lord, che per un ventennio, dal 1979 al 2001, ha rappresentato la gente di Workington al Parlamento. «Non ho alcun dubbio – ci dice – il muro tornerà rosso. Quello che è successo nel 2019 è stato un incidente causato dalla Brexit». Uno sgambetto della Storia che, oggi, pare possa essere riparato alle urne. Più difficile sarà rimettere insieme i pezzi di un Paese rotto che grida «aiuto».
© riproduzione riservata

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: