venerdì 14 luglio 2017
Il Premio Nobel per la Pace e il peso della sedia vuota alla cerimonia nel 2010 a Oslo
Un memoriale spontaneo di Liu Xiaobo nel centro di Hong Kong (Ansa)

Un memoriale spontaneo di Liu Xiaobo nel centro di Hong Kong (Ansa)

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Il tumore al fegato non gli ha lasciato scampo, ma fino all’ultimo Liu Xiaobo ha lottato contro il male. E, fino all’ultimo, a 61 anni, ha incarnato un’indomita resistenza al potere cinese che era quasi riuscito nel suo obiettivo di farlo dimenticare al mondo. Fallito in extremis, con una quantità di ombre che per risalto mettono ancora più in evidenza la statura di Liu Xiaobo. «Un eroe nella lotta per la democrazia », lo ha definito su Twitter il ministro della Giustizia tedesco, Heiko Maas dopo avere appreso la notizia della morte. «La sua resistenza non violenta ne ha fatto un eroe nella lotta per la democrazia e i diritti umani», ha ricordato Maas. Una sintesi veritiera del ruolo di Liu nei decenni di apparente normalizzazione dopo i fatti di piazza Tienanmen a Pechino nella Primavera 1989. Un periodo caratterizzato da un crescita spropositata che il regime cinese ha cercato di propagandare come il “volto nuovo” di un Paese aperto al mondo. In realtà, il sistema è modellato sugli interessi di una ristretta oligarchia e del Partito-Stato.

A Tienanmen, Liu Xiaobo, nato il 28 dicembre 1955, fresco dall’esperienza statunitense, però c’era e quella partecipazione gli costò 19 mesi di prigione. Tuttavia, proprio sull’immensa spianata su ci si affacciano da secoli luoghi-simbolo del potere cinese perfezionò le sue idee, creò una rete di rapporti e conobbe la giovane attivista, scrittrice e artista Liu Xia, che avrebbe sposato successivamente. Il matrimonio avvenne mentre lui, docente di Letterature comparate all’Università Normale di Pechino, stava scontando una condanna di tre anni ai lavori forzati ricevuta nel 1996 per la sua contrarietà alla linea del Partito comunista. La loro doveva diventare una comunione di esperienze e di ideali mai affievolita. Liu non ha mai dimenticato le sue origini di intellettuale aperto a una diffusione la più vasta possibile delle idee, utilizzando dalla sua diffusione anche uno strumento essenziale come Internet. Critico letterario e insegnante, acceso sostenitore della libertà di espressione degli scrittori cinesi attraverso varie iniziative e anche attraverso la rivista di orientamento democratico Minzhu Zhongguo (Cina democratica) fondata negli anni Novanta («spero di essere l’ultima vittima dell’inquisizione letteraria», aveva dichiarato), il futuro Nobel fu anche tra i protagonisti dell’esperienza di Charta 08. Per la sua partecipazione a questa iniziativa venne arrestato due giorni prima della diffusione del manifesto e processato a Natale dell’anno successivo ottenendo una condanna a 11 anni di carcere. Nel 2010, fu insignito del Premio Nobel per la Pace per la sua «lotta lunga e nonviolenta per i diritti umani fondamentali in Cina».

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Essendo dietro le sbarre, Liu Xiaobo non potè recarsi a Oslo per ritirare il premio e la sedia vuota che avrebbe dovuto occupare fu il più chiaro atto d’accusa vero la dirigenza cinese, mente il suo messaggio diffuso in occasione dell’assegnazione, fu un atto di fiducia verso il suo Paese: «Credo fermamente che l’ascesa politica della Cina non si fermerà e, pieno di ottimismo, attendo con impazienza l’avvento di una Cina libera». Gli ultimi anni sono stati di profondo travaglio, sia per Liu Xiaobo, sia per Liu Xia, a sua volta costretta agli arresti domiciliari. Una vicenda umana toccante, quella dei coniugi Liu, sempre sotto sorveglianza. Segnata anche dall’opzione di rinunciare a una prole propria per non avere distrazioni nell’impegno politico. Vissuta negli ultimi giorni chiedendo, ancora una volta insieme, di assaporare istanti di libertà fuori dai confini cinesi. Con l’uscita di scena di Liu, lo strapotere del regime sembra non avere più ostacoli, sia all’estero, sia all’interno. La sua azione, tuttavia, ha mostrato come nessun’altra le contraddizioni di un potere autoreferenziale che pretende di governare senza critiche o opposizione su 1,4 miliardi di cittadini ai quali in parte nega diritti e benessere, a troppi nega voce e libertà.

Quanto scritto da Liu Xiaobo poco prima di essere condannato per l’ultima volta nel 2009 può essere visto come un “testamento” della sua esperienza: «Nessuna forza può fermare la ricerca dell’uomo della libertà». Alla fine anche le sue ultime ore hanno confermato che nessuna ideologia repressiva può contro ideali e coerenza di chi non si arrende.

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