giovedì 26 novembre 2009
I soldati di pace a Kinshasa al centro della bufera. Un documento del Palazzo di Vetro svela: hanno continuato a sostenere le truppe governative malgrado fossero a conoscenza dei loro crimini.
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«Un totale fallimento». La definizione usata in un rapporto uffi­cioso delle Nazioni Unite è un giu­dizio severissimo sul risultato delle operazioni dei caschi blu nell’est della Repubblica democratica del Congo. Anzi, la mastodontica missione O­nu in Congo, conosciuta con l’a­cronimo di Monuc, che vanta un personale proveniente da più di cin­quanta Stati e che ha una capacità superiore a 18mila soldati, è riusci­ta a peggiorare le condizioni degli stessi civili che avrebbe dovuto pro­teggere. Armi, soldi, tecnologia, e un’assoluta mancanza di strategie chiare e effettive, hanno fatto sì che l’est del Congo, in particolare le pro­vince di nord e sud Kivu, sprofon­dasse in una crisi impressionante e dalle mille sfaccettature. Le ricche risorse minerarie vengo­no continuamente, e impunemen­te, saccheggiate dai vari gruppi di ribelli che controllano il territorio. Le agenzie umanitarie, attanagliate dalla logorante frustrazione di ve­dere i propri sforzi minacciati dalla vera istituzione che dovrebbe so­stenerli, hanno parlato di un altis­simo livello di stupri come arma principale per spaventare la popo­lazione. Il documento, redatto da u­na rete di analisti delle Nazioni U­nite e che sarà discusso prossima­mente dal Consiglio di sicurezza di New York, è stato rintracciato da al­cune agenzie di stampa e dalla Bbc. È una durissima critica alle forze O­nu per aver appoggiato le corrotte truppe del governo congolese, col­pevoli di non essere riuscite a bloc­care le vie di rifornimento utilizza­te dai ribelli. Il rapporto sembra dare ragione a tutte quelle organizzazioni non go­vernative che accusavano il gover­no congolese di violare sistemati­camente il rispetto per i diritti u­mani, mentre portavano avanti in modo indiscriminato la loro offen­siva contro i ribelli, a predominan­za di etnia hutu, delle Forze demo­cratiche per la liberazione del Ruan­da (Fdlr): due leader del movimen­to ruandese recentemente sono sta­ti arrestati in Germania su manda­to internazionale. A questi ultimi gruppi si aggiungono i Mai Mai e quelli del Consiglio nazionale per la difesa del popolo (Cndp), il cui ex leader, il generale Laurent Nkunda, è stato arrestato dai soldati gover­nativi ruandesi. Nel rapporto accu­se non specificate sarebbero mos­se anche a due sacerdoti italiani che operano da anni nella regione e a un ruandese naturalizzato italiano. Le Nazioni Unite, pur essendo a co­noscenza dei delitti commessi, han­no continuato a sostenere aperta­mente le forze governative, speran­do di riuscire a sconfiggere, o alme­no intimidire, quelli che sembrano comporre i quasi ottomila combat­tenti delle Fdlr. «Le operazioni mi­litari non hanno havuto successo nel neutralizzare le Fdlr, anzi, han­no intensificato la crisi umanitaria», è uno dei passaggi fondamentali della relazione. «Sbalorditivo», ha commentato Ja­son Stears, uno dei massimi anali­sti coinvolti nella tragedia congole­se, riguardo alle conclusioni del do­cumento. «C’è una totale mancan­za di trasparenza» continua Stears e «ciò permette ai molti attori di continuare a comprare latta e oro ricavati dalle aree controllate dai ri­belli, e per questo finanziandone i vari gruppi. Nel commercio sono implicati trafficanti d’oro in Congo, Burundi e Ruanda. E con loro sono coinvolti molti ufficiali ai più alti li­velli». Anche due Ong spagnole, Inshuti e Amici del popolo del Ruanda, sono citate per aver aiutato le Fdlr. Lo stu­dio appura che i ribelli, alcuni di questi colpevoli di aver partecipato al genocidio ruandese nel ’94, rie­scono a sfruttare un’estesa ragnate­la di relazioni internazionali per rifornirsi di armi e reclutare sempre più soldati, spesso minorenni. Inol­tre è spiegato come i ribelli ruande­si siano sostenuti da membri di al­to rango tra le file delle autorità mi­litari congolesi, le stesse persone che dovrebbero combatterli. «Lontano dal risolvere le vere radi­ci che causano le violenze, la pre­senza della più grande missione di pace al mondo ha aggravato il con­flitto», conclude il rapporto.
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